“Il riso è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Poaceae, di origine asiatica. Insieme alla Oryza glaberrima, dal pericarpo pigmentato rosso coltivata in Africa, è una delle due specie di piante da cui si produce il “riso” inteso come alimento.” Così cita Wikipedia.  Ne avevo già scritto tempo fa qui sul Cavoloverde, ma il discorso sui risi merita ancora qualche racconto interessante.

Anche perché iniziando ora la calda stagione estiva il riso con le sue molteplici capacità di dar vita a ricette, sia nel dolce che nel salato, è sempre protagonista sulle nostre tavole e merita se ne parli e se ne sappia.

Eravamo rimasti ai risi di fine Ottocento. Tra questi dominava una varietà oggi sconosciuta ai più: il Chinese Originario dal quale arrivarono ai primi del Novecento alcune sue derivazioni: il Balilla ad esempio. 

Poi un signore, faceva di cognome Maratelli, individuò in una sua risaia una pianta di riso diversa, molto interessante, dalla quale dopo alcuni anni di prove nacque il riso Maratelli che ebbe un discreto successo commerciale.

Ma nel riso le nuove varietà hanno sempre trovato difficoltà nell’affermarsi, al contrario di ciò che accadeva nei frumenti.

Nel grano, ad esempio, Strampelli incrociava e sperimentava frumenti a raffica, ma nel riso la selezione è sempre stata lenta e molto silenziosa.

Un bel giorno poi nei primi anni del Novecento in una frazione del comune di Sant’Alessio in provincia di Pavia, frazione che aveva come nome Vialone, i due fratelli De Vecchi selezionarono una pianta dalla cultivar risicola denominata Ranghino che chiamarono Vialone Nero, o più semplicemente Vialone.  Questo nuovo riso diede origine, alcuni anni dopo, ad una dominanza ancora oggi notissima, acquistando un aggettivo, nel mondo dei risi da risotti. 

Questo riso Vialone si diffuse rapidamente nella provincia di Pavia per arrivare poi nelle risaie di Mantova, Rovigo e Verona con ottime coltivazioni. Ma solo nel 1925 il Prof. Giovanni Sanpietro iniziò a incrociare, nella Stazione di Risicoltura di Vercelli, varietà esotiche con varietà nostrane e alcuni anni dopo, nel 1937, Sanpietro arriva alla sua creazione risicola più famosa e che ancora oggi fa da primo attore tra i risi pregiati o nobili come vengono definiti. Da un incrocio tra il Vialone e la varietà Nano nasce il Vialone Nano che oggi è tra i risi per risotti un vero attore protagonista, specie nelle provincie di Verona e Mantova dove dà vita al famoso risotto alla pilota, esaltazione assoluta del riso accoppiato al pesto suino. 

Ma andiamo pure avanti nella nostra storia tra risi e sorrisi, per concludere in bellezza. Siamo agli anni 40 del secolo scorso quando i gusti dei consumatori iniziano a cambiare e il riso per questo, nel suo piccolo chicco bianco, inizia ad allungarsi. Nascono nuove cultivar: il Ribe, il Padano, il Sant’Andrea; tipologie che ancora oggi sono sugli scaffali della GDO. Poi arriva nel 1946 arriva sulle tavole quello che viene considerato il re dei risi per risotti. 

Da un incrocio tra il Vialone e la cultivar Lencino nacque il Carnaroli, il riso che tutti gli amanti dei risotti ricercano per le proprie preparazioni culinarie e che nei ristoranti guidati nelle cucine da noti chef stellati a tutt’oggi domina. Nei primi anni di nascita il Carnaroli rimane però diffuso solo nelle zone del milanese. Una coltivazione che oggi verrebbe definita “di nicchia”. 

Riso eccellente, dal buon aroma e dalla straordinaria tenuta in cottura, il Carnaroli era però una cultivar molto alta come pianta in campo e spesso inceppava per questa sua altezza le macchine trebbia-riso. Per questo inconveniente tecnico fece molta fatica a diffondersi nei primi anni oltre i propri luoghi nascita. Questa difficoltà venne superata nel tempo dall’entrata in campo di una nuova forza molto convincente, da quella cosa che Enzo Iannacci definiva avere “…la forsa de leon e paüra de nisun”: la televisione. Un diffusore di tendenze senza precedenti che proprio nei primi anni ’50- 3 gennaio 1954- dagli studi RAI di Torino iniziava a trasmettere. Così il riso Carnaroli divenne oggetto di una massiccia campagna pubblicitaria che ne decretò un successo ancora oggi senza paragoni. E i recalcitranti trebbiatori di riso dovettero chinare la testa davanti al re dei risi e abituarsi a liberare le lame di mietitura dalle alte piante del Carnaroli. Gli ettari coltivati a Carnaroli passarono in pochi anni dai 500 degli anni Ottanta ai circa 10.000 dei giorni nostri. 

Che si possa chiudere qui la storia italica dei risi senza bisi, come direbbero gli amici veneti? 

Direi di no. C’è ancora qualcosa che va detto su questo straordinario alimento che ci nutre da migliaia di anni e che regala benessere fisico, e che poi nelle sue decine di declinazioni nei risotti rallegra lo spirito con bontà e profumi che provati una volta non si scordano più.  Ne riparleremo. Con un mio sincero sor-riso…alla prossima allora. 

  • Articoli
Vive in Austria, a Vienna, dal 2014. Studia, scrive e collabora con le sue “ragazze ronzanti” che volano e producono mieli nelle foreste viennesi. Api-cultore, mielosofo, amante della Sapienza applicata al cibo. Libero pensatore nato a Mantova nel secolo scorso. Dice di se: “Vengo… non so da dove. Sono… non so chi. Muoio… non so quando. Vado…non so dove. Mi stupisco di essere lieto.
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