Grampasso: “Signori, ci fermiamo quando cala il sole”
Pipino: “E la colazione?”
Grampasso: “L’avete fatta”
Pipino: “Ne abbiamo fatta una, sì. Ma la seconda colazione?”
Merry: “Non credo che conosca la seconda colazione”
Pipino: “E quella delle undici? Il pranzo? Il tè pomeridiano? La cena! Lo spuntino! Questi li conosce, no?”
Merry: “Non ci conterei. Pipino!”
La Compagnia dell’Anello

Gira da anni la storia di due amici che si mettono d’accordo per vedersi “a colazione” e così uno dei due si presenta alle 8:00, mentre l’altro si presenta alle 12:30. Ma allora quali sono i nomi “giusti” dei pasti? E quali sono i loro orari? Insomma… quando si mangia?

In italiano conosciamo cinque pasti: colazione, pranzo, cena, merenda e spuntino. Lo spuntino si fa un po’ quando capita, a metà mattina o nel cuore della notte, non ha un orario preciso: si fa quando “spunta” inaspettata la fame.

La colazione sarebbe il primo pasto della giornata e ce lo conferma la sua etimologia:

dal latino collatio, cioè “raccolta”, consisteva nel mettere insieme gli avanzi del giorno prima. Nel nord Italia era un tempo comune mangiare riso e latte, oppure polenta e latte, quando il pane non bastava. Pare che l’abitudine di bere caffè e mangiare biscotti sia nata dalle razioni alimentari distribuite ai soldati durante la Prima guerra mondiale.

Il pranzo, dal latino prandium, è il pasto di metà giornata.

Qui l’orario varia: se oggi a Milano si tende a pranzare verso le 13:00 (quando si ha la pausa pranzo al lavoro, oppure quando i bambini tornano da scuola), un tempo al nord si mangiava rigorosamente alle 12:00 massimo 12:30, mentre pare che al sud l’orario oscilli facilmente tra le 14:00 e le 16:00.

La merenda tendenzialmente si fa a metà pomeriggio.

Il termine viene dal latino merenda, cioè “che va meritata”: e infatti è tipicamente lo spuntino che si concede ai bambini quando hanno finito i compiti.

La cena, dal latino coena, è il pasto serale, più leggero perché poi bisogna andare a dormire.

Un tempo al nord si cenava alle 19:00 o persino alle 18:00, mentre oggi si tende a cenare verso le 20:00; al sud pare che l’orario vada dalle 21:00 in poi. Negli Stati Uniti si cena talvolta persino prima delle 18:00 (e mi chiedo come arrivino a fine serata). Se è pur vero che la tipica cena contadina di un tempo era leggera, un po’ di minestra e un pezzo di formaggio, è anche vero che nelle occasioni importanti diventa il pasto principale, il “cenone”.

Da qualche tempo imperversa l’aperitivo, che qualcuno infaustamente ha ribattezzato “apericena”.

Il termine significa “che serve ad aprire”: uno spuntino, accompagnato magari da un buon bicchiere di vino, per “aprire lo stomaco”. Infatti, quando mangiamo una piccola quantità di cibo, il cervello si aspetta che ne arrivi ancora e fa sorgere lo stimolo della fame. Oggi però molti locali offrono, a fonte di prezzi maggiorati per le bevande, un ricco buffet, per cui i clienti si abbuffano senza vergogna, di fatto trasformando l’aperitivo in un surrogato della cena. La cosa curiosa è che per questo fenomeno si usa il termine happy hour, quando l’originale anglosassone era esattamente il contrario: ovvero un orario in cui gli alcolici costavano di meno.
Pare che in certi ambienti altolocati sia cosa raffinata chiamare “prima colazione” la colazione, “colazione” il pranzo e “pranzo” la cena, mentre “cena” verrebbe usato per un ulteriore pasto da consumarsi in tarda serata, dopo il teatro. Impossibile non ripensare al giovin signore di Parini, il quale, svegliatosi in tarda mattinata dopo una notte di impegni mondani, fa “colazione” a un orario inverecondo (mica come i poveracci, che si svegliano e fanno colazione all’alba). E così, se la “colazione” avviene in tarda mattinata, è facile che finisca per confondersi con il pranzo, facendo slittare tutta la nomenclatura. Insomma, cosa c’è di più chic e decadente che fare colazione a mezzogiorno?

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Francesco Bravin è un milanese imbruttito di origini friulane, dottore di ricerca in antropologia presso l’università di Genova, ha condotto una ricerca etnografica alle Cinque Terre sul ruolo dei prodotti tipici locali nell’immaginario turistico, dove si è dovuto sacrificare partecipando a tutte le sagre e le degustazioni di vino. Ha organizzato laboratori didattici in diverse scuole superiori a Milano, Brescia e Savona e al momento collabora come tutor didattico per le Scienze Sociali con l’università eCampus e con l’istituto Grandi Scuole. È presidente e fondatore dell’associazione Antropolis, che a Milano cerca di portare l’antropologia fuori dalla torre d’avorio accademica, nonché socio fondatore di ANPIA e, all’interno di questa, membro della commissione Scuola ed Educazione e del Consiglio dei Saggi. Nel tempo libero fa l’accompagnatore turistico, il biker e lo schermidore storico.