Di recente hanno fatto la loro comparsa nei supermercati prodotti che tentano di imitare e sostituire la carne: dalle bistecche di seitan alle cotolette di soia, per arrivare fino agli hamburger vegetali. Questi prodotti sono acquistati perlopiù da vegetariani e vegani che, pur volendo eliminare i prodotti di origine animale dalla propria dieta, non vogliono però rinunciare all’esperienza organolettica della carne, o perlomeno cercano di sostituirla con qualcosa che le somigli il più possibile. Eppure, il vero target di questi prodotti non sono loro, bensì proprio i carnivori.
Ci possono essere diverse ragioni, anche molto personali, per rinunciare alla carne, ma in generale le possiamo riassumere in tre motivazioni di base: ragioni salutistiche, ragioni etiche e ragioni ambientalistiche.

Le ragioni salutistiche si basano sull’idea che la carne faccia male.

In realtà la specie umana è onnivora, quindi di per sé la carne non ci fa male, ma è pur vero che “la dose fa il veleno” e un eccessivo consumo di carne, in particolare di carne rossa, può essere dannoso per la salute. Questo vale per ogni alimento, compresa l’acqua (ebbene sì! Anche un eccessivo consumo di acqua può risultare dannoso), ma il fatto è che il consumo di carne è aumentato vertiginosamente dal Dopoguerra in poi, grazie all’industrializzazione e alle tecniche di allevamento intensivo: se prima si mangiava una modesta quantità di carne una o due volte la settimana, oggi se ne consumano quantità imponenti quasi ogni giorno. Come se non bastasse, i lavorati a base di carne conservati, come ad esempio i salumi, contengono nitriti e nitrati che possono aumentare il rischio di tumori.

Le ragioni etiche sono facilmente comprensibili: gli animali soffrono come noi e molte persone non vogliono sentirsi responsabili della loro sofferenza e della loro morte.

Si potrebbe obiettare che la morte fa inevitabilmente parte della vita e che gli animali che mangiamo sarebbero in natura prede, il cui destino sarebbe, presto o tardi, essere mangiati da un predatore. Ciò non toglie però che l’allevamento intensivo costringe gli animali in condizioni di vita disumane, sottoponendoli a trattamenti che, se resi pubblici, farebbero diventare vegetariani molti carnivori. A questa considerazione non sfuggono nemmeno i prodotti lattiero-caseari, motivo per cui i vegetariani rifiutano anche latte e derivati.

Le ragioni ambientalistiche sono forse meno personali, ma non meno forti: l’allevamento degli animali richiede molto più suolo e un consumo di acqua maggiore della produzione di cibo di origine vegetale.

Un appezzamento di terreno usato per produrre mangimi animali potrebbe sfamare molte più persone se fosse coltivato a cereali destinati all’alimentazione umana. Non solo, ma gli animali da allevamento, e in particolare i bovini, producono grandi quantità di metano, contribuendo significativamente alle emissioni di gas serra.

Dunque, non ci resta che diventare tutti vegani? Eppure, anche molte persone che magari condividono a livello ideale le ragioni dei vegetariani e dei vegani, poi non riescono a rinunciare alla carne, perché la carne è buona (diciamocelo). In medio stat virtus: un buon compromesso potrebbe essere ridurre il proprio consumo di carne e, quando proprio la si vuole mangiare, assicurarsi che provenga da allevamenti non intensivi. Certo, la carne prodotta in questo modo risulta molto più costosa: se ne mangerà meno e meno spesso, ma di qualità migliore, più salutare e con un minore impatto ambientale.

Un’altra alternativa potrebbe essere appunto mangiare (anche, talvolta) dei sostituti della carne a base di proteine vegetali.

Dal punto di vista nutrizionale possono essere più o meno validi sostituti, ma dal punto di vista organolettico questi prodotti spesso non si rivelano all’altezza delle aspettative. Vengono acquistati perlopiù da chi ha già intrapreso la scelta vegetariana/vegana e quindi è già meno propenso a mangiar carne, mentre vengono visti con sospetto dagli appassionati carnivori, che li considerano una specie di abominio. E, va detto, non si può negare che molti di questi prodotti siano effettivamente deludenti dal punto di vista organolettico, almeno dal punto di vista di un incallito mangiatore di bistecche al sangue. Per questo diverse aziende hanno cercato di riprodurre sempre più fedelmente il gusto, il colore, la consistenza della carne, con prodotti a base di proteine vegetali (perlopiù a base di legumi). Si è arrivati persino a cercare di simulare il sanguinamento della carne quando viene cotta, utilizzando il succo di barbabietola, che ha un colore abbastanza simile a quello del sangue.

Personalmente sono un onnivoro che non disdegna la carne, ma non ne fa nemmeno una ragione di vita. Probabilmente non diventerò mai vegetariano, né vegano, ma non ho il culto della braciola, per cui ho provato volentieri diversi di questi prodotti, un po’ per curiosità “antropologica” e un po’ per variare le mie fonti di proteine, dalle polpette di soia alle cotolette di seitan, passando per i fake burger, anche di produttori diversi. Devo ammettere che, nella maggior parte dei casi, questi prodotti si sono rivelati più che mangiabili e persino gradevoli, ma ben lungi dall’esperienza organolettica della carne. Uno degli “hamburger” però si è avvicinato molto più degli altri prodotti, non solo dal punto di vista dell’aspetto e della consistenza, ma anche dal punto di vista del sapore. Diciamo che se me lo fossi trovato in un panino probabilmente non mi sarei accorto della differenza. Certo, siamo ancora lontani anni luce dalla bistecca al sangue, e forse non si arriverà mai a simularla, però l’esperienza è stata senz’altro positiva.

A questo proposito vale la pena ricordare che un altro filone di ricerca punta a “coltivare” cellule muscolari bovine,

in modo da ottenere autentica carne, non un’imitazione, completamente cruelty free. Finora questo filone non ha ancora dato i risultati sperati, perché le fibre muscolari hanno bisogno di lavorare per ottenere la consistenza giusta e poi nei veri tagli di carne è presente anche il grasso, che fa la sua parte. Ma è probabile che alla fine si arrivi a produrre carne “coltivata” che dia un’esperienza organolettica adeguata alle aspettative dei consumatori.
Insomma, forse non sarà come mangiare un’autentica bistecca… ma potrebbe essere come mangiare quasi la stessa cosa.

Photo by Szabo Viktor on Unsplash

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Francesco Bravin è un milanese imbruttito di origini friulane, dottore di ricerca in antropologia presso l’università di Genova, ha condotto una ricerca etnografica alle Cinque Terre sul ruolo dei prodotti tipici locali nell’immaginario turistico, dove si è dovuto sacrificare partecipando a tutte le sagre e le degustazioni di vino. Ha organizzato laboratori didattici in diverse scuole superiori a Milano, Brescia e Savona e al momento collabora come tutor didattico per le Scienze Sociali con l’università eCampus e con l’istituto Grandi Scuole. È presidente e fondatore dell’associazione Antropolis, che a Milano cerca di portare l’antropologia fuori dalla torre d’avorio accademica, nonché socio fondatore di ANPIA e, all’interno di questa, membro della commissione Scuola ed Educazione e del Consiglio dei Saggi. Nel tempo libero fa l’accompagnatore turistico, il biker e lo schermidore storico.