Tutti ammirati. Tutti incantati davanti alle parole di una ragazza nordica europea che sanno di vento pulito. Tutti, o gran parte di noi, senza andare oltre l’emozione, lo stato d’animo cui la overdose di tv spazzatura degli ultimi decenni ci ha abituati ad avere a fior di pelle senza arrivare mai al pensiero. Anzi, spesso, si deve fare i conti con le sole pulsioni e non sempre si arriva alle emozioni, figuriamoci al sentimento, che è fase adulta del pensiero. Il pensiero critico, che deve costruire veri punti di vista sui problemi è altra cosa.

È complicato, il pensiero. Va seguito un allenamento duro per coltivarlo. Servono studio, perseveranza, pazienza, applicazione, umiltà, amore per l’antinomia, per la filosofia cioè per la scienza.

Per chi cerca sempre di andare oltre e in fondo alle questioni è difficile non pensare che dietro questa semplicità disarmante della piccola Greta non vi sia un’attenta regia di personaggi che i sedici anni li hanno superati da un pezzo; ma questa è un’altra storia che qui non m’interessa né proporre né approfondire. Forse nel tempo si capirà tutto meglio.
In queste righe volevo invece rifarmi ad un’autrice che spesso ho citato nei miei articoli per il Cavolo Verde per averne letto da tempo teorie e pensieri. Sto parlando di Lierre Keith, nota scrittrice e giornalista scientifica americana, ex vegana integralista, famosa per le sue battaglie in campo ambientale, climatico, sociale e alimentare e per le sue posizioni molto drastiche sul futuro drammatico che attende il pianeta e i suoi abitanti specie in campo agricolo.

Curioso poi che, sentendo giorni fa i discorsi di Greta trasmessi in mondovisione il mio ricordo sia potuto andare subito al capitolo cinque del’ultimo libro di Lierre Keith “Il mito Vegetariano”. L’ultimo capitolo di questo libro inizia così: “Tutto comincia con una ragazza di 16 anni. Ha una coscienza, un cervello, due occhi. Il suo pianeta sta venendo stirato e squartato, specie per specie. Ne è consapevole, anche se gli adulti intorno a lei giocano ai bussolotti con i piani commerciali del carbonio e con l’etanolo. Il tormento degli animali che fonde il sadismo con la razionalità economica per fornire cibo all’America.”

Lierre parla di sé stessa quando, ragazzina, molti anni fa, pensava le stesse cose della Greta attuale e credeva, come la Greta attuale, di avere la soluzione in tasca.

Parole profetiche inoltre, visto che il libro “Mito vegetariano” è stato scritto nel 2015 e Lierre non poteva certo sapere che quattro anni dopo, nel 2019, una sedicenne europea con quegli stessi pensieri e con in testa l’idea ferma di un disastro climatico mondiale incombente e che va fermato, avrebbe di nuovo riproposto, tra le tante soluzioni comportamentali consigliate per curare il clima impazzito, proprio la scelta vegetariana che lei stessa, autocitandosi, aveva messo nelle conclusioni del suo libro.
“La nostra sedicenne”, scriveva la Keith, “ha coraggio e dedizione, e adesso vuole fare quello che è giusto, e i vegetariani dispongono di un programma completo per lei. È semplice. Puoi garantire la giustizia agli animali, agli esseri umani, e alla terra infine se mangi cereali e fagioli”. Facile no?
Molti anni separano le due sedicenni – una americana l’altra europea- ma le soluzioni, guarda caso semplici, sono le stesse.

Due parole sulla semplicità.

I vegetariani dispongono di un programma completo per salvare il mondo dalla catastrofe climatica, quello che ho citato poco sopra: patate, fagioli e cereali. Discorso che ha un certo fascino in quanto la semplicità attrae da sempre gli umani, che hanno la tendenza a gradire regole e soluzioni facili, che però purtroppo non esistono. Vi è poi sempre anche un grande, smodato e giusto desiderio di bellezza in noi umani, ne ha magistralmente parlato il Prof. Vito Mancuso nel suo splendido libro “La via della Bellezza” – bellezza che si può raggiungere con un solo atto cerealicolo che sistema tutto: la nostra salute, il pianeta, il bene comune, la nostra consapevolezza.

Certamente non è sbagliato voler salvare il mondo e il suo clima, peraltro da sempre molto mutevole. Ci sta.
Sono sbagliate le soluzioni semplici, troppo semplici, che vengono proposte.

Nella logica vivente del pianeta terra, piccola sfera colorata votata alla vita in questa parte dell’Universo, la vita infatti rimane il fine ultimo della terra, è proprio larga parte dell’agricoltura intensiva come viene praticata oggi ad essere tra le prime cause di parte del problema climatico. Le monocolture tanto amate dai vegetariani e la loro dipendenza fossile sono gran parte del problema. Ci si ferma di fronte alla foto del maialino allevato nei lager da carne e della gallina stipata a morte in capannoni asfissianti, ci si blocca commossi di fronte all’agnello pasquale. Ma nessuno va oltre l’ignoranza che segna la parola fine del mito vegetariano, cioè un nodale e insuperabile dato di fatto: la vita deve uccidere e noi tutti siamo oggi qui, attivi e vivi , grazie al corpo morto di qualcun altro. Punto. Non è l’uccidere che rappresenta la dominazione, è proprio invece l’agricoltura – come oggi è organizzata – a dominare e a guidare verso la catastrofe. E visto che questa organizzazione del settore e la sua tendenza per ora rimangono inarrestabili e ineliminabili, non saranno patate e mais a salvare l’umanità . Né aborrire, condannare, o detestare il fegato e i cuori in umido di animali vissuti liberi, se va bene ,o schiavi se va male, farà bene al clima.

Io inizierei a commuovermi invece di fronte alla morte perpetrata in modo sistemico e direi quasi sadico dell’Humus, cosa di cui nessuno, tanto meno la nostra piccola Greta, parla. Un milione di creature vive e vitali sta in un cucchiaio da tavola e questo sta sotto i nostri piedi. Questo milione di creature, che divengono miliardi in campo aperto, guida la vita del mondo.

Noi le massacriamo giorno per giorno. Non belano, non muggiscono, non hanno occhi dolci, ma gridano in silenzio per avere attenzione. Noi ogni giorno dovremmo porci invece un’altra domanda fondamentale che dovrebbe divenire quasi una preghiera giornaliera da formulare davanti al nostro cibo: questo cibo distrugge o crea humus? E poi: utilizza solo il sole o richiede suolo fossile? Infine: possiamo andare a piedi, in bici o al massimo con un’auto, il più eco possibile, senza aver bisogno di aerei? Con queste poche domande tutto andrebbe al suo posto se la risposta fosse sì, ma la risposta oggi è largamente no, purtroppo. Mentre dovrebbe almeno diventare ni. Ne vogliamo parlare? Ma qui il discorso si complica e si farebbe lungo. Lo farò, a costo di diventare pedante, invadente e fastidioso. In prossime righe.

P. S.
Dimenticavo: leggetevi questo. Servirà nel prosieguo del discorso.

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Vive in Austria, a Vienna, dal 2014. Studia, scrive e collabora con le sue “ragazze ronzanti” che volano e producono mieli nelle foreste viennesi. Api-cultore, mielosofo, amante della Sapienza applicata al cibo. Libero pensatore nato a Mantova nel secolo scorso. Dice di se: “Vengo… non so da dove. Sono… non so chi. Muoio… non so quando. Vado…non so dove. Mi stupisco di essere lieto.
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