Quanto può essere longevo un vino bianco? Dobbiamo dare ascolto al sommelier che al ristorante ci consiglia una bottiglia di bianco invecchiato più di tre o quattro anni? Ammettiamolo, quando si parla di vino bianco molto spesso è difficile credere che possa durare nel tempo e che riesca a donarci ancora, a distanza di molti anni, aromi e sensazioni in grado di stupirci. Siamo abituati all’idea che si tratti di un vino da bere ancora giovane e che solo alcuni grandi vini bianchi stranieri, magari quelli francesi o tedeschi, possano essere longevi.

Generalmente, ma fatte salve le dovute eccezioni, il vino bianco è considerato più semplice di quello rosso, più beverino e spesso più adatto al gusto dei non intenditori per la sua delicatezza cromatica e gustativa.

Ma siamo sicuri che sia sempre così? No. Se c’è una cosa infatti che si impara bevendo e amando il vino è che non bisogna mai dare per scontato quello che sappiamo o che immaginiamo, perché la sorpresa può sempre essere dietro l’angolo. Si tratta di quel genere di sorprese che più riservare, ad esempio, un vino come la Falanghina dei Campi Flegrei.
Qualche giorno fa mi trovavo a Pozzuoli , nel cuore di quei Campi Flegrei in cui i greci fondarono nel 530 a.C. la loro prima colonia su terraferma e che per secoli, grazie all’attività vulcanica del sottosuolo, hanno ispirato miti, racconti e versi poetici. Con lo sguardo verso un panorama mozzafiato, tra il calar del sole e la sirena di un traghetto in partenza, ho scoperto un nuovo, ma forse sarebbe più opportuno dire “maturo”, volto della Falanghina Campi Flegrei.
Ho partecipato a “Il tempo della falangina”, una degustazione inserita nella tredicesima edizione di Malazé festival enogastronomico dei Campi Flegrei in collaborazione con l’Ais di Napoli e il Consorzio tutela Vini dei Campi Flegrei Ischia e Capri. La degustazione di cinque annate differenti comprese tra il 2014 e il 2003 è stata soprattutto l’occasione per riflettere sulle potenzialità evolutive di un vino che, come spesso accade per i vini bianchi, viene di solito bevuto giovane.

Come ogni degustazione che si rispetti, abbiamo incominciato dalle Falanghine più giovani.

Le annate 2014 e 2012 della cantina Quarto Miglio hanno presentato dei profili gustolfattivi sostanzialmente in linea con quello che ci si aspetterebbe da questo vino: note aromatiche di frutta bianca e fiori gialli, gusto sapido e discreta persistenza al palato.
Il terzo vino invece ci ha fatto fare un salto temporale all’indietro: il Cruna di Lago 2006 della Cantina La Sibilla si è distinto immediatamente per il suo colore giallo carico, gli aromi minerali all’olfatto e un’inaspettata nota di idrocarburo che di solito si riscontra in un altro tipo di vino, come il Riesling tedesco.
Siamo andati ancora più indietro nel tempo e abbiamo provato la Falanghina 2005 di Contrada Salandra, un vino dal colore quasi dorato e con note olfattive molto vicine al profumo di chiodi di garofano, spezie dolci, mela cotta e caramella d’orzo. Ha colpito la sua persistenza gustativa e il perfetto equilibrio tra naso e bocca lo rende un vino davvero fine.
In ultimo, il vino più longevo tra tutti e cinque: Vigna del Pino 2003 della cantina Agnanum è una Falanghina prodotta con vendemmia tardiva, dal colore quasi aranciato simile ad un orange wine e dai sentori di frutta candita, miele di castagno e zolfo… insomma niente di più lontano dagli standard gustolfattivi che ci si aspetterebbe di ritrovare in una Falanghina dei Campi Flegrei.
Quindi, ritornando alla domanda che ci siamo posti all’inizio: possiamo dare più tempo ad un vino bianco? La risposta è: sì. Non siamo obbligati a farceli piacere. Possiamo continuare con molta sincerità a preferire vini più giovani e più beverini, ma la storia della Falanghina che abbiamo scoperto con questa degustazione ci ha dimostrato per l’ennesima volta che ogni vitigno, ogni luogo e ogni bottiglia ha una storia a sé. E come ogni storia che amiamo, dobbiamo lasciare che faccia il suo corso, senza mai dare per scontato il finale.

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Sono nata e vivo a Roma. Mi sono laureata in Lettere alla Sapienza e dopo un master in Web Marketing e New Media ho lavorato nel settore della Comunicazione e degli eventi. Oggi mi occupo di divulgazione cinematografica in ambito museale e amo viaggiare in maniera spasmodica. Sono cresciuta in una famiglia di astemi, ma visto che ho sempre fatto il contrario di tutto e di tutti, ad un certo punto della mia vita ho deciso di diventare sommelier. Amo il vino in tutte le sue sfaccettature, ma quello che mi piace di più è indagare i legami e scoprire le intermittenze che ci sono tra il mondo del vino e quello dell’arte. Le mie degustazioni sono sempre delle occasioni per condividere, con amici e curiosi, le suggestioni e i richiami tra le note sensoriali di un vino e l’universo artistico. Forse la mia si può chiamare deformazione professionale, ma ormai non riesco più a coltivare le mie passioni per il cinema, il cibo e i viaggi senza condirle con tannini e perlage.