Ha toccato anche Roma il tour italiano della monaca coreana Jeong Kwan, vincitrice degli Asia’s 50 Best Restaurants Icon Award 2022 e star di Chef’s Table su Netflix. Dopo essere stata a Parma e a Milano, la monaca infatti è stata ospitata nella sede di Eataly a Roma dove ha tenuto due incontri dedicati alla cucina templare. “Io comunico con il mondo tramite il cibo templare buddista. Sono stata in Italia nel 2019 grazie all’Istituto Culturale Coreano e sono molto felice di tornare quest’anno. Nei miei incontri racconto la filosofia della cucina templare buddista attraverso il Baru Gongyang e le ricette a cui sono molto legata” ha raccontato la monaca.

Organizzate dall’Istituto culturale coreano (che si occupa della promozione della cucina coreana in Italia), le lezioni sono state incentrate soprattutto sul legame tra la cucina coreana vegana e la filosofia buddista. Ma cos’è la cucina templare? Nel tempio di Chunjinam Baekyangsa, in Corea del Sud, la religiosa segue i ritmi delle giornate e delle stagioni e porta avanti l’antica cultura culinaria buddista e i dettami della cucina contadina e tradizionale della Corea. Secondo gli insegnamenti buddisti preparare e condividere il cibo sono parte della pratica e, così, Jeong Kwan cucina per i monaci e i visitatori del tempio, piatti semplici e gustosi utilizzando le verdure e i fiori di stagione, le spezie di cui conosce tutte le peculiarità e le più antiche tecniche di conservazione e fermentazione. Nella cucina templare sono proibiti tutti i cibi animali, tranne alcuni lattici, e anche gli ‘Osinchae’ (aglio, allim tuberosum, cipollotto, erba cipollina coreana, assafetida) perché interferiscono con la meditazione. Inoltre, è una cucina che vive in armonia con la natura e contrasta ogni forma di spreco alimentare.

Nel corso della prima lezione da Eataly, a cui noi di Cavolo Verde abbiamo partecipato, la monaca ha insegnato a preparare alcuni piatti, tra cui le Verdure di stagione alla coreana, un dressing a base di tofu chiamato Dubu jang e il Rosolato di funghi shiitake in sciroppo di riso, una pietanza a cui la monaca è particolarmente legata perché, come ha raccontato già in passato, è stato l’ultimo piatto che ha cucinato a suo padre quando andò a trovarla nel tempio per convincerla a tornare a casa (a diciassette anni lei aveva deciso di andare via di casa per vivere con le suore Zen nell’eremo di Chunjinam). Il padre, dopo averlo assaggiato, si rese conto che doveva esserci un senso di pace in quello stile di vita e le disse: “Me ne torno a casa senza preoccupazioni, stammi bene” e dopo una settimana morì.

Un modo di concepire il cibo diverso e unico che oggi, nonostante la monaca non abbia un suo ristorante, ispira moltissimi chef in tutto il mondo. Jeong Kwan padroneggia con maestria i prodotti che la natura regala e cucinare per lei è un atto di meditazione tanto che il “New York Times” l’ha definita la ‘Chef filosofa’. Jeong Kwan prepara i pasti per i monaci e per i visitatori del tempio utilizzando gli ingredienti coltivati nell’orto e conservati con le tecniche dell’essiccazione della fermentazione. Pur non avendo mai avuto un ristorante o fatto corsi di cucina, sono tanti gli chef che si ispirano a lei. 

Photo Credits: Picture and copyright by Véronique Hoegger

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Sono nata e vivo a Roma. Mi sono laureata in Lettere alla Sapienza e dopo un master in Web Marketing e New Media ho lavorato nel settore della Comunicazione e degli eventi. Oggi mi occupo di divulgazione cinematografica in ambito museale e amo viaggiare in maniera spasmodica. Sono cresciuta in una famiglia di astemi, ma visto che ho sempre fatto il contrario di tutto e di tutti, ad un certo punto della mia vita ho deciso di diventare sommelier. Amo il vino in tutte le sue sfaccettature, ma quello che mi piace di più è indagare i legami e scoprire le intermittenze che ci sono tra il mondo del vino e quello dell’arte. Le mie degustazioni sono sempre delle occasioni per condividere, con amici e curiosi, le suggestioni e i richiami tra le note sensoriali di un vino e l’universo artistico. Forse la mia si può chiamare deformazione professionale, ma ormai non riesco più a coltivare le mie passioni per il cinema, il cibo e i viaggi senza condirle con tannini e perlage.