Pensando all’Italia come capitale mondiale enogastronomica, a nessuno mai verrebbe in mente di collegarla al mondo brassicolo. Invece negli ultimi anni qualcosa è cambiato, finalmente anche l’Italia può vantare di avere uno stile di birra tutta sua ed entrare a far parte degli annali della storia della birra.

Si tratta di IGA, acronimo di Italian Grape Ale, dove il mosto d’orzo si sposa con quello d’uva dando origine ad una birra unica e originale nel suo stile.

Il tutto nasce nel 2015, quando il BJCP (Beer Judge Certification Program ) ente riconosciuto a livello internazionale, ha inserito nell’edizione di quell’anno della propria guida agli stili una nuova tipologia di birra, chiamata appunto Italian Grape Ale.
La scelta dell’Italia per dar nome a questo stile è dovuto alla sua secolare e variegata tradizione vinicola oltre che alla creatività dei birrai italiani che senza freni culturali, rispetto ai propri colleghi europei, hanno saputo valorizzare al meglio gli ingredienti e perfezionare questo stile.

Il merito, va sicuramente a Nicola Perra del Birrificio Barley, in Sardegna, che fu il primo, nel lontano 2006, a lanciare sul mercato la sua BB10, la prima birra del mondo con l’utilizzo della sapa (mosto d’uva cotto) di Cannonau.
La nascita di IGA, ha permesso ai birrai italiani di ampliare ancor di più il legame con il territorio, che fino ad allora era riservato quasi principalmente ai cereali e spezie.

Come ho accennato prima, si tratta di una birra unica e originale, in quanto ancora non c’è una codificazione degli ingredienti e di tecniche di preparazione.

Si possono utilizzare in quantità non definite, ma non superiori al 40% del malto d’orzo: la sapa (con cui il sopracitato Nicola diede origine alla sua BB10); il mosto fresco, aggiungendolo in bollitura o direttamente in fermentazione previa sterilizzazione; vinaccia od uva fresca. Ogni birraio ha libertà di espressione nel creare la propria birra, non solo combinando gli ingredienti tra loro ma anche sperimentando diverse tecniche di fermentazione che nel prodotto finito possono dare sapori dolci, sapidi, aspri o addirittura aciduli, simili alle sour (birre acide).
Certo, il BJCP ancora categorizza IGA tra le Fruit Beers, ma chissà se un giorno non nasceranno degli sottostili, così come esistono per alcune Lagers o Ales, che definiranno i processi produttivi, sensazioni organolettiche e il grado alcolico. Ma per ora non ci rimane altro che vivere l’emozione di ogni sorso di una birra nata dall’unione di uva e di orzo.

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Vova Kush, pseudonimo di Vladymyr Kushchev, classe ’88, Ucraino di nascita, Italiano di adozione. Nel 2012, durante gli studi universitari, partecipa a uno stage di 4 mesi a Bruxelles, luogo dove è sbocciato l’amore per la birra. Al ritorno in Italia la ricerca delle birre particolari diventa un’ossessione. Da lì nasce la curiosità di scoprire cosa realmente c’è dentro al bicchiere, quindi inizia con le letture e i corsi di degustazione, l’ultimo terminato con successo con UDB (Unione Degustatori Birre). Lavora per un breve periodo per un birrificio di Rieti, che purtroppo dopo un anno di apertura chiude. La passione per la birra lo spinge a sperimentare anche la produzione casalinga. Per passione gira Italia e l’Europa per visitare i birrifici, brewpub, e diversi festival delle birre, confrontandosi con i mastri birrai e gli esperti del settore. Alle spalle ha più di 100 birrifici visitati e più di 4000 diverse birre bevute. Dal 2018 ha aperto una pagina su Instagram e Facebook, ove recensisce le birre bevute perché la birra è il suo argomento preferito.
  • Italian Grape Ale, l’unione di uva e di orzo

    Finalmente anche l’Italia può vantare di avere uno stile di birra tutta sua ed entrare a far parte degli annali della storia della birra.
    Si tratta di IGA, acronimo di Italian Grape Ale, dove il mosto d’orzo si sposa con quello d’uva dando origine ad una birra unica e originale nel suo stile.