Era il 2012, credo.
Ero da Angelina, un noto ristorante romano nel quartiere di Testaccio.
Ero con due amiche a cena ed era il tempo in cui iniziavo a fare foto ai piatti, a postarle sui social e a ricevere feedback.
Loro no.
Non erano avvezze alla cosa e questo mi metteva in una posizione di minoranza, io presa dal cibo, loro dalla conversazione; io che postavo immagini e commenti, loro che mi guardavano (giustamente) scocciate e mi rimproveravano bonariamente per la mia mancanza di educazione e di partecipazione alla conversazione.
Ho scelto di partire da questo episodio, che mi vide peccare pesantemente, per parlarvi di educazione a tavola, legata all’utilizzo oramai sdoganatissimo del telefonino durante i pasti.

Oggi le persone scattano spesso foto a quello che mangiano, prendono sovente in mano il telefono durante una cena per controllarne le notifiche

oggi che tutto questo è divenuto parte del quotidiano sociale io voglio fare un passo indietro.
In realtà è già da tempo che l’ho fatto, è da molto che – quando esco con gli amici – mi limito a fotografare ma non interagisco sui social in tempo reale.
Credo che il tempo passato con le persone con cui ho scelto di vedermi sia prezioso e irrinunciabile, sicuramente più importante di un post su Facebook o dell’inserimento immediato di una foto su Instagram.
Può aspettare, il mondo social, semplicemente, può aspettare.
A meno che non ci siano esigenze lavorative (nel qual caso la questione viene ricalibrata considerando le modalità di svolgimento del lavoro, che spesso presuppone anche stories in diretta, video, post ecc) io credo sia più educato, cortese ed opportuno caricare tutti i contenuti a serata finita, salutati gli amici, o il giorno seguente.
Oggi che tendo a comportarmi così, per educazione e per rispetto nei confronti delle persone che ho davanti, non posso evitare di far caso a tutti quelli che – invece – perpetrano nel mettere i social al centro del loro tempo di vita.

Potrei raccontare moltissimi episodi, al limite dello svilente,

di situazioni in cui il “postare” sui social prende il sopravvento sulle situazioni sociali che si stanno vivendo, le persone si chiudono in una bolla, si eclissano per poi riapparire, a post condiviso, aspettando il prossimo scatto ben riuscito da poter caricare sull’Instagram di turno, il tutto in un andirivieni tra la realtà dell’ora e la nebula del mondo parallelo social che li fa sembrare dei multitasking socialdipendenti incapaci di godersi appieno la compagnia reale del mondo in cui stanno muovendosi.
Se ammetto di esser appartenuta per anni alla categoria degli ubiquitari (coloro i quali credono di riuscire a tenere tutto sotto controllo, conversazioni e notifiche) ho delineato altre tre categorie, che comprendono uomini e donne, che vi sciorinerò di seguito e a cui ho fatto l’occhiolino per anni, perché lo dico a gran voce senza vergogna, mi sono avvicinata a ognuna di queste, ma da qui mi sono – e lo dico con altrettanto vivo giubilo – distaccata, se non anche disintossicata.

Ci sono i TALK INTERRUPTUS,

quei soggetti che magari ti siedono di fronte e pare ti stiano ascoltando ma che – quasi impercettibilmente – tengono d’occhio lo schermo del telefonino e appena appare una notifica, il telefonino si illumina o si senta un beep che gli sia familiare, ti interrompono per lanciarsi come un ghepardo sulla preda.

Ci sono gli IPHONE PORN,

quelli che – anche se stai discutendo del tuo divorzio o delle corna appena ricevute o della cartella Equitalia recapitata il giorno stesso – ti ascoltano mentre scrollano le bacheche dei social e quando tu, lievemente dubbiosa che effettivamente ti stiano seguendo e con la vaga sensazione di essere quasi di troppo in quel momento, provi a chiedere conferme sulla loro presenza a se stessi, li vedi rispondere “si si, ti sento, ti sento, ti sento!!”

E che dire degli ANSIOSI PHONISTI?

cercano di mascherare il loro interesse per il rettangolino nero che sonnecchia di fianco al coltello ma, ad ogni trillo, ad ogni notifica (venisse pure dal tavolo di fianco) sobbalzano chiedendo “è il tuo o il mio?”

E poi ci sono i sopracitati UBIQUITARI,

che hanno o comunque presumono di avere il dono dell’ubiquità. Si destreggiano con più o meno scioltezza tra vari stadi di socialità. Tutti nella stessa sera. Tutti contemporaneamente. Mentre parli con uno di loro, loro stanno parlando con altre dodici persone, virtualmente, ovvio. Hanno la capacità di farti sentire noiosa e financo di troppo anche in una cena a due dove ti hanno per giunta invitata loro!

Un consiglio che vale per smascherare tutte queste categorie? Buttate nella conversazione frasi casuali e prive di senso per vedere se riescono a coglierle, tanto per controllare a che livello arrivi il disinteresse in voi. Dopo, regolatevi di conseguenza.

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Vicedirettore di questa rivista nonché blogger, giornalista, laureata in comunicazione, parlo di food ma non solo; recensisco locali ed eventi, racconto di persone e situazioni su siti e riviste. Qui su Cavolo Verde – sperando di non essere presa troppo sul serio – chiacchiero, polemizzo, ironizzo, punzecchio e faccio anche la morale.
In sintesi? Scrivo – seriamente – e mi piace. Tanto.