Sono le 18 di un molle Sabato pomeriggio. Tra poco uscirò con le amiche. A cena.
E domattina? Mi sveglierò con calma, farò colazione, sistemerò alcune cose in casa e poi raggiungerò una mia amica alle porte di Roma, poco prima di pranzo, perché c’è una festa nel paese dove vive e mangeremo insieme.
E in settimana? Devo uscire con un’amica e il suo ragazzo, con l’occasione mi faranno provare un nuovo locale.
E ieri sera? E’ venuto a casa mia un amico fraterno, ovviamente a cena.
E se l’avessi invitato per il dopocena? Beh, gli avrei presentato birre e stuzzichini, perché pare non si possa invitare gente a casa senza che ci sia anche del cibo e men che meno si può uscire senza finire con le zampette sotto un tavolo, perché noi italiani, che tanto prendiamo in giro gli europei che “bevono, bevono, bevono” siamo comunque quelli che – alla parola convivialità – associano sempre del cibo. E sovente anche del bere.
La questione che mi preme è che, tutto questo, secondo me, è sbagliato, perché sarebbe bello anche incontrare gli amici solo per una passeggiata, una chiacchierata, un giro in bicicletta o un cinema eppure – fateci caso – anche queste occasioni sono sempre accompagnate dal cibo.
Fai una passeggiata e finisci per prenderti un gelato, vai al cinema e lo corredi come minimo di pop corn, che rigorosamente finiscono prima dell’inizio dello spettacolo, tanto oramai la pubblicità che precede i film dura come un cortometraggio.
E che dire degli approcci amorosi?
Da quando sono single, ho ricevuto così tanti potenziali inviti a prendere un caffè dagli uomini da essermi guadagnata il soprannome di “Carmencita” dalle amiche. E ok che, come lessi un giorno in uno di quei meme romantici che girano su Instagram, “il caffè è la scusa per tutto” però diciamolo, il caffè è anche il metodo più semplice per approcciare una donna, quello più “toccata e fuga” quello che non impegna e vale come passe-partout (tipo il tubino nero per le donne).
Per chi poi vuole spingersi un pochino più in là c’è l’aperitivo o l’odioso “apericena” che – ammettiamolo – puzza di tirchieria e di finto cool ma che pare ancora resistere in moltissimi locali romani.
Solo i più temerari si spingono fino alla cena, che parte da una pizza, molto easy e che sta bene su tutto (tipo la camicia bianca per gli uomini) e finisce con una cena in locali più o meno trendy.
Ovviamente invitare a cena una che fa il mio mestiere mette in serio disagio qualsiasi uomo (ho visto degli “insospettabili” traballare davanti alla domanda “oddio, e ora dove la porto a cena Nàima”) il che mi fa così tanta tenerezza che sarà argomento succulento per un altro articolo e per questo preferisco non dilungarmi troppo; dico solo che – nuovamente – anche per ciò che riguarda l’approccio amoroso, il tramite è sempre il cibo.
Oggi, che sto cercando con pessimi risultati di operare una remise en forme; oggi, che ho deciso di alimentarmi con cibi più salutari di quanto non abbia fatto negli ultimi mesi, vi confesso, sto trovando enorme difficoltà nel far combaciare questo con la vita sociale (come vi ho raccontato nel pezzo “Quello che le foodie non dicono”).
Sì perché io vorrei tanto uscire con la gente senza dover – obbligatoriamente – ingurgitare cibo o bevande ma pare che sia un comportamento assolutamente fuori dai canoni dell’italiano medio.
Amicizia e amore sono comunque legati, a stretto giro, all’assunzione di una qualsivoglia sostanza che vada a riempire il nostro stomaco e alternative non ce ne sono.
Entrare in un locale, sedersi e proferire al cameriere che viene a prendere le ordinazioni un lapidario “no, grazie, io non mangio nulla” equivale a sentirsi rispondere un corale “ma non ti senti bene?” da tutti i commensali presenti; raggiungere le amiche in un locale dopo cena significa imbarcarsi da sole in un viaggio alle 22/23:00 finendo a chiedere una sedia al ristoratore che ci guarderà scocciato e di traverso pensando “e tu mo’, che vuoi qua!?” e proporre un dopocena equivale a vagare per le strade di una città ospitale solo in alcuni mesi dell’anno, quando la stagione calda permette passeggiate serali (il corrispettivo dello struscio di paese del Sabato pomeriggio).
Nonostante tutto, vi annuncio che la mia lotta per la liberalizzazione della socialità dal vincolo enogastronomico è appena cominciata, anche se temo che avrà un successo pari a un duello donchisciottiano, la speranza è l’ultima a morire e non mi sento di demordere, d’altronde ogni battaglia vinta ha pur avuto inizio dal lampo di genio di un singolo individuo, no?
Vicedirettore di questa rivista nonché blogger, giornalista, laureata in comunicazione, parlo di food ma non solo; recensisco locali ed eventi, racconto di persone e situazioni su siti e riviste. Qui su Cavolo Verde – sperando di non essere presa troppo sul serio – chiacchiero, polemizzo, ironizzo, punzecchio e faccio anche la morale.
In sintesi? Scrivo – seriamente – e mi piace. Tanto.
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