Da uno dei miei viaggi del cuore in terra partenopea nasce il racconto di questo vitigno noto a pochi: La Catalanesca, vitigno a bacca bianca coltivato alle pendici del Vesuvio.
Rientra in quei vitigni “dimenticati” che, grazie alla caparbietà di alcuni “illuminati”, cerca di trovare una dignità enologica.
Le sue origini risalgono al XV secolo e sono legate ad una storia d’amore: quella tra Alfonso V d’Aragona e una giovane fanciulla di Somma Vesuviana. La storia narra dell’incontro tra la fanciulla ed il sovrano, avvenuto per caso, a Napoli, il 23 giugno 1448, vigilia della festa di San Giovanni Battista, durante la quale, per tradizione le fanciulle nubili usavano offrire ai propri amati, in pegno d’amore, una pianticella d’orzo o di grano raccogliendo in cambio offerte, per accrescere la solennità e la fastosità della processione. Il Re era accompagnato da alcuni cortigiani e mentre passeggiava per il centro della città, percorrendo uno dei vicoletti del “Purgatorio ad Arco”, venne avvicinato da un’incantevole fanciulla, che gli offrì una piantina: era Lucrezia d’Alagno. Iniziò così la profonda storia d’amore tra la diciottenne Lucrezia e il cinquantatreenne sovrano.
Re Alfonso trascorreva le sue giornate a Somma Vesuviana, dove la ragazza viveva e dove amava dedicarsi alla cura delle piante e al suo orto. Data la passione della fanciulla per la natura, il Sovrano decise di portarle in dono dalla Spagna delle barbatelle di uva “Catalana”, che furono impiantate sulle pendici del Monte Somma, fra Somma Vesuviana e Terzigno.
Il terreno vulcanico, molto ricco di sali minerali, e la buona esposizione con l’alternarsi di brezze marine hanno permesso all'”uva Catalana” o “Catalanesca” di crescere e di arrivare sino ad oggi.
La zona di produzione delle uve per l’ottenimento dei mosti e dei vini comprende gli interi territori amministrativi dei comuni: San Sebastiano al Vesuvio, Massa di Somma, Cercola, Pollena Trocchia, Sant’Anastasia, Somma Vesuviana, Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano, Terzigno, tutti ricadenti in provincia di Napoli.
Nel 2011 ottiene il riconoscimento IGT come «Catalanesca del Monte Somma». Le aziende vitivinicole che hanno avuto il coraggio di “scommettere” sulla Catalanesca sono poche, ma spiccano comunque nel panorama dei piccoli produttori per il loro caratteristico e unico vino.
Il vino si presenta di colore giallo paglierino, i profumi ed il gusto di questo IGT del Monte Somma sono fortemente influenzati dal territorio. Sentori di albicocca, localmente detta “pellecchiella”, cantalupo, ananas, ginestra e camomilla lasciano alla fine spazio ad una spiccata nota di mandorla, ma anche macchia mediterranea, in un continuo evolversi dove comunque prevale una nota distintiva di pietra focaia. In bocca è freschezza, non diventa mai troppo “facile”, anzi rimane una bella persistenza al palato che riprende le note olfattive ed è chiaramente sapido. È il “vino del vulcano”, con la buona acidità e freschezza che lo rendono ottimo come aperitivo e con piatti di pesce, soprattutto il “baccalà”.
Ho conosciuto la Catalanesca proprio a Somma Vesuviana, in una piccola ma “grande Osteria” dove il “baccalà” è l’ingrediente principale del menù, caratteristica della maggior parte dei ristoranti o osterie della zona.
La Catalanesca è risultata perfetta con gli antipasti di baccalà e stoccafisso proposti dallo Chef, impeccabile con i deliziosi primi come “gli ziti alla Genovese di baccalà” o le “linguine con baccalà e pomodorini del piennolo” e così via, con abbinamenti sempre più complessi, studiati e messi nel piatto da sapienti cuochi e ristoratori del luogo. Un vino che non si dimentica, che trae le sue origini da una “passione d’amore” e che ha trovato il suo “terroir” naturale in una terra di passioni.
(N.d.R.) Per la foto della Catalanesca ringraziamo il collega Luciano Pignataro
Fulvia Maison
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