Del piacere di scrivere non si può scrivere.
Di quel sottile filo che ti riconduce al tuo io più profondo.
Improrogabile richiamo a te. Appuntamento con l’essenza.
Come dire a parole?
Come poter esplicitare ciò che è la massa portante di un ininterrotto dialogo con il sé?

Perché qualsiasi rumore ci sia fuori e qualsiasi silenzio alberghi dentro, il filo non si rompe.

Si avvolge, si avviluppa, si dipana, danza, danza al di fuori del nostro controllo, e resta l’ombra cinese che ci incanta, come da bambini, come contro un muro, nella penombra dell’essere a capire che quello che tiriamo fuori assume forme e sembianze ben oltre ciò che credevamo di poter dare alla luce.
Ma dai gesti alle parole, se il passo è breve, il salto è imponderabile.
Perché un gesto è la prosecuzione del nostro essere, della nostra materia, della nostra fisicità, ancora ci appartiene, è la nostra proiezione precisa o imperfetta, elegante o goffa, ma noi ancora e per sempre vi albergheremo dentro. L’impronta di noi sarà pesante e pensante in esso.
Non così per gli scritti o detti, verbalizzati o semplicemente incubati: le parole sono altro.
Altro da noi.
Sono gli altri.
La loro capacità di ascolto, di accoglienza, di intraprendenza.

Perché ogni lettore è un intraprendente.

Un intraprendente indipendente.
Ha deciso di intraprendere un percorso, un cammino, un viaggio.
E in tutta indipendenza.
Perché nello scalare i nostri suoni, le nostre parole, le origini del nostro comunicare, il lettore è e resterà indipendente.
I gesti si subiscono.
Le parole si accolgono e si elaborano e si reincarnano.

Una parola detta è un volo verso qualcuno che la acciufferà e le darà nuova vita. Nel proprio vissuto, nella propria mente, nella propria anima e , non ultimo, nella propria vita.

Per questo le parole sono macigni. Sono i sassi che poniamo ai piedi di qualcuno che poi deciderà che farci, magari costruirci sopra la propria casa, la propria vita. E noi non lo sappiamo, non possiamo deciderlo e neppure modificarlo.
Noi andiamo a mettere lì, quell’agnello sacrificare che ha purificato la nostra essenza rendendola fluida, fruibile, leggibile e dinnanzi a quel nostro sacrificio il lettore costruirà le mura del suo leggere e vivere ciò che leggerà, ed amarlo, o odiarlo. Sceglierà magari di tenerlo insofferentemente addosso, fino a quando un altro suono, scritto, letto, soffiato, cantato non lo scollerà da ciò che non sopporta o, invece, lo accompagnerà ancora più in profondità in ciò che ha amato.
È per questo che chi scrive e chi legge diventano ali di uno stesso essere: quello che è disposto ad incontrare.
È per questo che ci vuole particolare forza e coraggio per esercitare entrambi: lo scrivere e il leggere.
Scrivere è seminare in un terreno altrui.

  • Articoli
Sono nata in Calabria, sono avvocato e lavoro in un’azienda di famiglia incuneata fra il Pollino e lo Jonio dove l’aria austera del monte si immischia alla salsedine del mare, il che spiega quel senso di vertigini salate che, da sempre, il mio lavoro mi ha trasmesso. Mi piace masticare l’olio, i frutti e le parole. Credo che, in fondo, un nesso stretto ricomponga percorsi, storie, vissuti e mondi che distano apparentemente molto fra loro. E’ quel nesso che segna la mia ricerca.Amo gli orizzonti ampi, le parole scarne, i rapporti umani essenziali, in sintesi pecco di eccesso di sintesi e, questa colpa, me la porto anche nel mio succinto curriculum.
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    Scrivo velocemente come chi sta aspettando qualcosa che tarda a venire: la Primavera, algida e capricciosa che non arriva e, se arriva, va via prima che si riesca ad abbracciarla, ad acciuffarla.

  • Un mondo ordinato

    Se qualcuno mi avesse chiesto quale fosse il mio lavoro avrei detto: mantenere quel mondo.
    I suoi volti, le sue strette di mano, le sue voci, le sue parole. Mantenere quel mondo, la sua disperata, disarmante, onnivora bellezza.
    Perché non c’era posto per altro, come di fronte all’infinito.

  • Ricordi di Settembre…

    A settembre stiamo un po’ tutti così. Sospesi.
    Sospesi fra il vecchio e il nuovo. Fra i raccolti e le semine. Fra le albe e i tramonti e ci sembra che questi estremi siano più vicini di quanto ce lo ricordassimo, di quanto ci servirebbe per capire questi giorni come viverli, se appesi a una speranza o a un rancore. A settembre si decide cosa estirpare e cosa coltivare, cosa seminare e cosa lasciare arido, a settembre si capisce se si vuole continuare a provare a cambiare qualcosa, o lasciarci stare.

  • Una ruotata
  • Siamo incudine
  • Il Tempo che coltiviamo per voi
  • Limitrofi