“Sciur padrun da li beli braghi bianchi, fora li palanchi ch’anduma a cà”. Sorpassando l’aia della Cascina Grampa a San Pietro Mosezzo (Novara) e dirigendosi verso l’edificio dove c’erano i dormitori delle mondine, si sente risuonare ancora nell’aria questo canto. Un canto che ricorda come tutto qui ruoti attorno al riso. Già il nome, Grampa, significa “manciata di riso”. Nome con cui viene identificato l’appezzamento nell’atto di cessione del 1572, quando i conti Tornielli, famiglia nobile novarese, ne divennero padroni. Risaie e costruzioni rimasero dei Tornielli fino al 1939 quando la Grampa fu acquistata dalla famiglia Testa, l’attuale proprietaria.
«La Cascina Grampa – conferma Giovanni Testa – appartiene alla mia famiglia dal 1939. Ma, per quasi 60 anni l’abbiamo concessa in affitto. Nel 1997, mio padre Mario, stanco della vita cittadina di Torino, torna qui per avviare personalmente la nostra attività agricola. Ora Cascina Grampa è sede dell’Azienda Agricola Giovanni Testa».

Qui il tempo si è fermato

Basta guardarsi attorno per apprezzare il lavoro di conservazione che è stato portato avanti negli anni. Ecco la “corte chiusa”, l’antica stalla e il sovrastante fienile, la casa dei salariati, i locali dormitorio e refettorio delle mondine e la casa padronale in cui i Testa vivono ancora oggi. Lungo il lato nord sul ramo principale della roggia Crosa, l’antico canale d’irrigazione delle risaie della Grampa, si trova uno storico mulino ad acqua. La roggia ha un grande salto d’acqua sfruttato, fin dal ‘600, per far girare un’imponente ruota idraulica, che muove ancora oggi la vecchia macina in pietra (molazza) e la storica “pista da riso”. Ed è proprio in questi macchinari antichi, fatti di legno, pietra e ferro, che risiede la particolarità che rende unica Cascina Grampa. Infatti, dopo un complesso lavoro filologico di recupero e parziale ricostruzione delle parti meccaniche, unico in Italia, il mulino è tornato in vita. Tutto scorre come secoli addietro, quando un sofisticato sistema di paratie a timone di legno e di vite senza fine in ghisa regolano il ciclo produttivo del riso.

Controlli minuziosi

«Ciascuna varietà di riso coltivato nelle nostre risaie – continua Giovanni – produce chicchi dotati di una particolare uniformità morfologica e costitutiva dovuta all’omogeneità del terreno, dell’acqua e delle condizioni microclimatiche locali». Questo risultato si ottiene grazie a un lavoro minuzioso che prevede, tra un passaggio e l’altro, il controllo dei chicchi. Si parte dal riso grezzo, il risone, che viene sbramato asportando la lolla (la parte esterna del chicco che contiene il riso) per ottenere il riso integrale. A questo punto avviene il primo passaggio in appositi calibratori e separatori rotanti che scartano i grani rotti (rottura), quelli non maturi (grana verde) e quelli più piccoli (risina e risetto). Si passa alla sbiancatura che, grazie a un’azione abrasiva in più stadi, produce il riso lavorato, più o meno bianco a seconda del grado di rimozione del pericarpo dei chicchi, ovvero la pula o la crusca. Grazie alla selezione, e soprattutto all’ultimo controllo a lettura ottica per l’eliminazione dei chicchi con difetti cromatici, si ottiene l’uniformità di consistenza, forma, calibro e colore. Ed è proprio grazie alla omogeneità dei chicchi si realizzano pietanze con un punto di cottura ottimale.

L’Allegra Cucina

Il riso Testa fa parte, insieme a tante altre tipicità italiana, della lista degli ingredienti de L’Allegra Cucina di Novara. La chef Monica Ruspa, che gestisce insieme all’amica Vanda il ristorante, si ritrova in una comunione di intenti con la filosofia dei Testa. Nel suo locale di soli 40 posti apparecchiati su tavoli antichi con piatti e bicchieri originali del servizio buono della domenica in famiglia, si servono pietanze della tradizione che Monica custodisce nel vecchio ricettario della nonna. In esclusiva per Testa, Monica ha realizzato tre proposte con altrettanti risi. Per antipasto il riso varietà Apollo, dai sentori aromatici di frutta secca e fiori bianchi, si gusta in un’insalatina di pollo al sapore mediorientale. Con il primo entra in scena il re dei risi Testa, il Baldo Riserva. Proprio come un vino, il Baldo Riserva riposa 3 anni nei silos durante i quali i suoi chicchi si arricchiscono di sostanze nutritive, vitamine e minerali fino ad aumentare di volume. Con il Baldo Riserva Monica ha creato un risotto che unisce altre due eccellenze piemontesi: la Toma della Valsesia (formaggio di latte vaccino a pasta cotta) e il Boca, vino Doc prodotto nell’omonima cittadina in provincia di Novara. Baldo in versione tradizionale, che vanta una buona tenuta alla cottura ed è quindi indicato per la cottura al forno, è invece stato impiegato dalla chef per la torta di riso dolce.

Pour l’Amour du Riz’

Ogni portata ha il suo piatto, dentro al quale esprime al meglio le sue caratteristiche visive e organolettiche. Questo concetto è la base di partenza del progetto Du Riz di Eliana Lorena, designer di Novara. La finalità di Du Riz è la realizzazione di oggetti unici, decorati a mano nel laboratorio artigiano novarese Ceramiche Calcaterra. Ogni piatto racconta, attraverso la forma, i decori o i colori l’eccellenza della risicoltura novarese. All’interno di questo progetto è stata realizzata “Pour l’Amour du Riz’”, una limited edition per Testa. I piatti di base Villeroy & Boch sono stati decorati con un unico filo d’oro che ricorda le stoviglie “buone” che venivano usate solo in occasioni importanti. «Nella tradizione contadine – spiega Eliana – il risotto era un piatto unico. Ho scelto quindi la forma “cappello del cardinale” perché, viste le sue grandi ali, può essere servito

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Alessandra Iannello giornalista dal 1987 quando inizia a scrivere di informatica e di nuove tecnologie. Nell’ambito della Casa Editrice Tecniche Nuove passa poi all’ambito tessile, accessori e moda. In breve tempo arriva a collaborare con i quotidiani economico-finanziari come MilanoFinanzaFashion, Affari & Finanza, Finanza e Mercati, Libero Mercato dove si occupa di economia del mondo della moda e del lusso. Nel frattempo è collaboratore fisso della pagina di Costume e Società del quotidiano Libero. Oggi è corrispondente per l’area Macro de Il Messaggero e Il Mattino, direttore responsabile del quotidiano della comunicazione Pubblico On Line e del giornale online Ianny’s Eyes. Inoltre è contributor per Agrodolce, ilmessaggero.it, responsabile per l’area food di Manintown (cartaceo e online). Ianny’s Eyes è il suo giornale online che vanta una pagina Facebook seguita da 3.300 follower, un profilo Instagram con un seguito di 2.550 fan e un profilo Twitter con 600 follower.