Da alcuni anni il finocchio ha conquistato un posto sui banchi delle verdure nei supermercati di tutta Europa, praticamente per 12 mesi all’anno. Per la gioia dei produttori italiani, che ne mettono sul mercato una quota del 90% della produzione mondiale (sì, avete letto bene, 90%!), l’aroma intenso ed il sapore dolce di questo ortaggio “italiano” si diffonde anche nel nord Europa con un successo crescente tra i consumatori.
Come sempre, è una molteplicità di fattori combinati assieme a determinare un successo di queste dimensioni: pesa certamente la selezione di nuovi ibridi che consente la produzione per tutto l’anno, destinata in estate soprattutto all’esportazione, ma un peso rilevante lo ha senz’altro un modo di rapportarsi al cibo, non certo recentissimo, ma che è sempre più di moda: non si parla più di sapori e odori, né di mangiare, ma di proteine e minerali, e al verbo “mangiare” si preferisce spesso “nutrirsi”.
In questo trionfo della “chimica del cibo” il finocchio è una metafora perfetta: è ipocalorico ma sfama, è ricco di fibre, minerali, flavonoidi e sostanze estrogeniche naturali, contiene vitamine del gruppo A, B e C.
Insomma “fa bene” ed è bene consumarne di più. Ma qui siamo a quel che si può chiamare il “paradosso del finocchio”: tutti lo vogliono magiare, ma poi non sanno come. In nord Europa poi, dove arriva quasi come un prodotto esotico, ci se ne nutre per lo più “a secco”, crudo, senza manco un filo d’olio, o dopo averlo sbollentato per mezz’ora. D’altra parte è una materia prima – così si esprimono gli Chef stellati a proposito del cibo! – che va assunta soprattutto perché “fa bene”. Ecco che dunque il cucinare ci apre la possibilità di un approccio diverso, non appena abbandoniamo il mondo di Masterchef in cui i cuochi sono i sacerdoti di una verità tecnica che stabilisce cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le persone che cucinano si scambiano ricette, ciascuno le adatta, le modifica o le contamina con varianti innumerevoli legate ai gusti e ai prodotti disponibili su un territorio, e tutto questo avviene senza che nessuna di queste varianti possa essere etichettata come “giusta” o “sbagliata”.
C’è forse bisogno, allora, di tornare alle suggestioni che il finocchio ha alimentato sin dall’antica Grecia, o nell’antica Roma, tanto da essere un amatissimo simbolo di vigore guerriero e sessuale. Che cosa resta oggi del fatto che questo prodotto nel medio evo fosse ritenuto un’erba sacra, utilizzata in erboristeria per la cura dei malanni? Il suo aroma intenso – sia nella specie coltivata che in quella selvatica – arricchisce i piatti da secoli ed è a questo, prima di tutto, che dobbiamo abbandonarci, liberando queste essenze nelle nostre preparazioni e gustandole nel “rito sociale” del cucinare e mangiare insieme.
Diffondiamo il verbo, non facciamoci infinocchiare. (Link al mio libro)
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