Qualche giorno fa, a cavallo tra inverno e primavera, in un’ora non troppo affollata, ero in coda in uno di quei piccoli alimentari che ancora resistono nei nostri centri storici cittadini, in quella parte di centro storico dove gli spazi sono piccoli e la grande distribuzione non pare ancora interessata ad arrivare.

Un avventore lodava, giustamente, la cucina tipica del posto ed io assistevo tranquillamente alla discussione in attesa di pagare le mie poche cose fino a che mi si sono messo attentamente in ascolto o come si dice comunemente, mi si sono drizzate le orecchie a sentir le parole “da sempre qui si cucina così”.

Queste parole, certamente tranquillizzanti e gratificanti per l’interlocutore, andrebbero però riviste cercando di capire come la storia del cibo è storia di contaminazione continua.

Noi italiani siamo fieri, a ben vedere, della nostra tradizione gastronomica. Ma dove deriva questa tradizione, ce lo siamo mai chiesto? Mi verrebbe da chiedere cosa è tradizione ma divagheremmo forse troppo. Ci siamo mai chiesti dove ha avuto origine questa tradizione o, meglio, da dove hanno avuto origine le diverse tradizioni gastronomiche e se è possibile trovare un momento specifico in cui ha avuto origine e quanto tempo nel passato, quante generazioni ci distinguono da quel momento.

Cerco di spiegarmi e per farlo forse risulta necessario partire da lontano.

Oltre gli alimenti classici della tradizione latina, a causa delle invasioni germaniche o barbariche si svilupparono nuovi alimenti creando gran parte della base della tradizione alimentare nostrana. Alla fine del medioevo avvenne un ulteriore cambiamento epocale.

Tutti noi conosciamo i viaggi dei navigatori italiani; il genovese Cristoforo Colombo verso Cuba ed il Centro America, il veneziano Giovanni Caboto verso il Labrador (all’ incirca il Québec per capirci), il fiorentino Amerigo Vespucci verso le coste nord del Sud America. Quest’ultimo per primo capì si trattava di un nuovo continente e non delle coste orientali del Giappone o dell’Asia.

Dopo i viaggi degli italiani altri navigatori, prevalentemente portoghesi e spagnoli, puntellarono le prime rotte e ne crearono delle altre anche verso oriente, come il portoghese Magellano che perì nel suo viaggio di circumnavigazione del globo. Di tale viaggio abbiamo una storia appassionata e forse anche un po’ romanzata di uno dei circa venti sopravvissuti, l’italiano Antonio Pigafetta.

Scusate il preambolo, ma capire che il mondo intero cominciava ad essere più strettamente collegato era mi era necessario per introdurre la parte seguente.

Sappiamo infatti che enormi quantità di oro e argento vennero scavate ed estorte alle popolazioni dell’America Centro meridionale. Pochi hanno effettiva contezza che gran parte di questo argento arrivava sì in Europa ma da qui rapidamente prendeva le vie dell’oriente per compare oltre che tessuti preziosi e vasellame anche spezie. Tramite i Feitorias, fondamentalmente empori commerciali, i portoghesi importarono grazie a viaggi che duravano mesi od anni interi pepe, zenzero, cannella dall’isola di Ceylon, chiodi di garofano e noce moscata dal grande arcipelago indonesiano.

Da quello che oggi chiamiamo Latino-America, arrivarono mais, patata e pomodoro. Il mais in particolare cominciò lentamente nei primi decenni del ‘500 a diffondersi nella penisola Iberica, poi in Francia ed in Italia soprattutto come foraggio per gli animali. Gli Europei cominciarono però presto a capire una delle caratteristiche fondamentali del mais che lo rendono prezioso. Il mais ha una rendita molto maggiore del frumento classico e in un momento storico nel quale le tecniche di coltivazione medie normalmente non superavano le rendite di 1:4 (quindi per ogni chicco coltivato si aveva una rendita di 4 chicchi) risultava fondamentale per la stessa sussistenza.

Divenne rapidamente quindi anche alimento fondamentale in zona a basso rendimento agricolo per il frumento classico come le zone collinari e montuose.

Zone collinari e montuose dove la polenta è stato ed è considerato alimento tradizionale e come sappiamo il cereale principale a basse della polenta è il mais.

Questo portò allo sviluppo della piaga che dal ‘700 a metà del ‘900 ha colpito in maniera importante le zone collinare e montuose soprattutto spagnole e italiane, la pellagra.

Non essendo secondo le nostre preparazioni la niacina del mais assimilabile (la niacina è una delle vitamine B, ricordate?) ed essendo maggiore per ovvie ragioni culturali e di temperatura l’uso di alcol che di per sé abbatta l’assorbimento e la composizione della vitamina, molte persone incorrevano nei disturbi della pellagra, una alterazione con dermatite spesso squamosa e dolorosa, demenza importante e disturbi intestinali senza fine.

Questa stessa problematica non si sviluppava nelle popolazioni mesoamericane che tramite un procedimento diverso cuocevano le tortillas di frumento che non è la tortilla di patate spagnola ma una sorta di pane basso non lievitato.

Il mais quindi giunto in Europa è stato adattato alle condizioni del nostro Continente creando nuovi cibi, nuove abitudini divenute nuove tradizioni e facendo nascere anche nuove patologie. La pellagra, infatti, è stata individuata da medici spagnoli nella prima metà del ‘700 e chiamato mal de la rosa per il colorito.

Un altro elemento molto comune oggi negli alimenti è lo zucchero. Vista l’enorme estensione delle piantagioni nel nuovo mondo, divenne reperibile sul mercato anche se il costo rimaneva alto. Il problema dello zucchero fino a quel momento era non solo l’alto costo ma la scarsità anche a causa dell’espansione dell’Impero ottomano e dei mamelucchi nel mediterraneo orientale che interrompevano le secolari tratte instaurate durante il medioevo.

Era paradossalmente quasi più facile trovare nelle città italiane l’oro rispetto allo zucchero tanto per capire l’ordine di grandezza. Lo stesso zucchero, ripetiamo, che oggi alla base di quasi tutti i dolci che conosciamo.

Pepe, noce moscata, chiodi di garofano, polenta, dolci… i collegamenti sono ora rapidi. Aggiungiamo i pomodori di cui tutti sappiamo l’origine e la patata su cui due parole abbiamo speso in passato, e gran parte del quadro risulta chiaro.

I nuovi prodotti derivanti dall’apertura di nuove vie portano a modifiche nel panorama alimentare ed arricchiscono i patrimoni alimentari delle popolazioni. Con il passare del tempo e delle generazioni i nuovi prodotti diventano parte integrante della cultura e diventano tradizione del Paese stesso. La Cultura non è fissa ed evolve in ogni ambito, anche in quello alimentare.

Foto di Virgil Cayasa su Unsplash

Davide Renzi, classe 1979, medico giramondo per tre continenti fino alla nascita della figlia, si occupa da anni di informazione ed educazione sanitaria come si è occupato per anni anche di prevenzione e di medicina del lavoro. Perfettamente conscio che una corretta informazione non è sufficiente, è altrettanto sicuro che senza di questa tutto il resto difficilmente si può costruire. Crede che complesso non significa necessariamente difficile, mal digerisce i tecnicismi non necessari ed è convinto che se conosci bene un argomento, trovi sempre il modo di spiegarlo.