Il Natale in Norvegia è un affare serio. La tradizione impone addobbi, luminarie, regali e giornate trascorse in cucina un po’ a tutte le latitudini, ma qui sembra una vera e propria necessità: tutti fanno a gara per illuminare e riscaldare la fredda notte artica.

Dove abito io, in un arcipelago del nord del paese, siamo a qualche chilometro dal più vicino agglomerato urbano, quindi ci sono poche case e ancora meno sono quelle abitate, i lampioni lungo le vie secondarie non sono la regola quindi, se si esce dal cono di luce proiettato dalle poche abitazioni, meglio avere con sé torcia frontale e fasce, bretelle o gilet ad alta visibilità. È così che mi sono resa conto, tra l’altro, di quanto l’inquinamento luminoso sia da queste parti praticamente inesistente e il cielo sembri più vicino, tanto da riuscire a distinguere le varie costellazioni. Ebbene, smantellati i tristi addobbi di Halloween, con notevole anticipo perfino sull’Avvento, ecco accendersi, una dopo l’altra come tante vetrine, le finestre di tutte le case della Norvegia, con mille mila decorazioni, lucine a led, stelle, festoni, renne, slitte, candelabri dell’Avvento e quant’altro… Non a caso è purtroppo anche il periodo dell’anno più pericoloso per gli incendi…

Facendo i dovuti scongiuri, i preparativi in cucina cominciano l’antivigilia di Natale, il clou è la sera della vigilia, mentre dal giorno di Natale (chiamato non a caso første juledagen, ovvero primo giorno del Natale) inizia il periodo di festa e riposo con la colazione e poi i vari julebord (tavole natalizie), buffet, brunch con parenti e amici che possono continuare, secondo le abitudini di ciascuna famiglia, fino all’epifania.

Un piatto tipico del menu della vigilia è il lutefisk, stoccafisso preventivamente ammollato in una soluzione di acqua e soda caustica, cotto in forno e servito con dadolata di bacon e contorno di piselli. Tuttavia, perfino qui, nel nord del paese, sulle isole, dove il pesce è alla base dell’alimentazione quotidiana con poche eccezioni, gli scaffali dei supermercati espongono intorno a Natale prevalentemente specialità a base di carne, il che ricorda vagamente le abitudini dei nostri nonni che mangiavano carne, considerata un lusso, solo la domenica o nei giorni di festa.

Il cenone della vigilia è dunque spesso a base di pinnekjøtt, costolette di agnello affumicate o meno, ribbe, costine di maiale dalla crosta croccante, medisterkaker, particolari polpette della festa e pølse, enormi wurstel speziati, il tutto accompagnato da vari contorni: cavoletti di Bruxelles, patate lesse, cavolo rosso e kålrabistappe o kålrotstappe, purea di rutabaga. Spenderò due righe in più per questo particolarissimo ortaggio, la rutabaga o navone o rapa svedese. Come spesso accade, meno si conosce qualcosa e più nomi gli si attribuiscono, quasi a volerla ammantare di mistero. Alla rutabaga, però, questo capita addirittura in lingua originale, perché viene chiamata kålrot o kålrabi. Vi risparmierò la discussione che accende gli animi dei buongustai dell’emisfero nord del pianeta. Personalmente preferisco il suo soprannome “Nordens appelsin” ovvero “arancia del nord”, attribuitogli per la grande quantità di vitamina C che contiene, insieme a molte vitamine del complesso B, alla vitamina K ai minerali e alle fibre. Derivata dall’incrocio tra una rapa e un cavolo selvatico, la rutabaga è simile alla rapa nella forma ma dal caratteristico colore violaceo; la polpa è color crema soda e croccante. Si tratta di un ortaggio versatile che si può gustare anche crudo (per gli amanti delle note amarognole) o cotto (e acquista note più dolci) lessato, grigliato al forno, nelle zuppe o – come spesso è costume da queste parti per tuberi e radici – a purea. Ed è in questa veste che lo ritroviamo appunto alla Vigilia di Natale, nobile contorno che esalta il gusto delle carni che accompagna.

E se da noi imperversano pandori, torroni e panettoni, qui qualunque pubblicità ritrae la famiglia intera riunita per il cenone tradizionale della vigilia, che si conclude con il risgrøt – sorta di budino di riso cremoso aromatizzato alla cannella – e l’arrivo di Julenissen – il babbo natale norvegese – con tanto di barba e baffoni bianchi che porta in spalla la sacca coi doni per i bambini. A volte si gustano anche dolcetti di marzapane e la famiglia intera si cimenta nella costruzione e decorazione delle tipiche casette di pan di zenzero. Messi a letto i più piccoli, è bello guardare la neve che cade bevendo magari un gløgg, sorta di vin brûlé, o brindare con una aromatica acquavite, che qui si ottiene dalla distillazione delle patate. Se poi fa capolino l’aurora boreale meglio ancora!  Salute! Skål!

Photo Credits: Maria Cristina di Nicola

M. Cristina Di Nicola, attrice e traduttrice, nasce a Teramo e vive a Roma ma ama la neve, il freddo e le aurore boreali, quindi un giorno chissà?  Appena può viaggia e se non può cammina – preferibilmente il mattino presto – in montagna, nei parchi, in città, ovunque!  Non ha mai smesso di stupirsi del mondo e prova a fermare la sua meraviglia con la macchina fotografica o con la penna. Golosa e curiosa, ha il culto del cibo, come elemento conviviale, culturale ma anche di puro divertimento.