Premetto che l’estate non è la mia stagione preferita, non lo è mai stata, nemmeno quando, bambina, equivaleva a vacanze lunghissime lontano dai banchi di scuola e libertà infinita dall’alba al tramonto. Ho tuttavia ricordi indelebili relativi all’estate e uno di questi appartiene al 2012 quando mi trovai quasi per caso a gestire un piccolo caffè/ristorante/b&b in Norvegia, oltre il circolo polare artico.
Quell’estate, atmosfere da sogno a parte, in cucina feci molte scoperte e una fu appunto il rabarbaro. Fino ad allora, non sapevo nemmeno che aspetto avesse il rabarbaro e le uniche associazioni che mi venivano in mente erano quella col noto amaro, peraltro mai assaggiato, e il tappeto di brusio che spesso mi vedeva impegnata con altri colleghi in sala doppiaggio.
Chi mi aveva assunto per dare un tocco esotico al piccolo caffè – vuoi mettere una cuoca italiana? – voleva anche che il ristorante proponesse piatti tradizionali locali e che i principali ingredienti fossero per quanto possibile genuini e a chilometro 0. Fu così che la notte di San Giovanni, quasi rito pagano da solstizio d’estate, sguinzagliai tutte le ragazze che lavoravano con me perché chiedessero ai vicini il permesso di saccheggiare i loro orti. Più chilometro 0 di così! Tornarono con una tale quantità di rabarbaro che ci volle quasi tutta la notte per lavarlo, pulirlo, tagliarlo e cominciare a prepararne marmellate, succhi e torte per la colazione.
Del rabarbaro, pianta originaria della Cina, si usano prevalentemente le coste, vale a dire i gambi che, a seconda della varietà, possono avere una colorazione che va dal verde chiaro al rosso. La radice viene usata per i liquori o, essiccata, per farne decotti da erboristeria. Le foglie sono tossiche perché ricche di acido ossalico; vanno dunque eliminate. Le doti del rabarbaro sono molte, in quanto povero di calorie ma ricco di ferro e beta-carotene. Ha proprietà digestive ma non bisogna esagerare perché in grandi quantità agisce come lassativo. Benché sia più comune cuocerlo, alcune varietà di rabarbaro, se il gambo è fresco, possono essere gustate anche crude. Il sapore è un po’ aspro e la consistenza croccante. Tuffare i gambi nello zucchero prima di addentarli può essere uno spuntino improvvisato ma assai gradevole.
Dal 2012 in poi ho cercato le coste di rabarbaro ovunque qui a Roma. Sono riuscita una volta a trovarle a Campo dei Fiori e poi a ordinarle dall’Olanda tramite il banco del mercato davanti casa mia, ma con sempre maggiori difficoltà. Negli ultimi anni, in un vivaio, ho trovato le piantine e, non avendo un orto, le ho sistemate ogni volta con cura in vaso. E ogni volta mi sento un po’ come se inviassi un messaggio in bottiglia…
Beh, quest’anno il messaggio dev’essere arrivato, perché ho avuto il piacere di cogliere le prime coste da una pianta rispuntata da chissà quale rizoma degli anni passati. Sono stata molto paziente e ho colto una costa alla settimana, per non stressare troppo la pianta. Man mano ho lavato, pulito, tagliato e congelato, pregustando la marmellata che presto adagerò sul waffel insieme a un cucchiaio di panna acida (alla maniera norvegese) e il morso che darò… E ora che finalmente la mia marmellata sobbolle in cucina e il profumo di rabarbaro si diffonde per tutta la casa, ecco io…
… non sono più qui ma in Norvegia, alle prese con le colazioni per domattina… bussano alla porta – chi osa disturbarmi in cucina? – ah, è quel signore appena arrivato al b&b con la moglie… Cosa? Mi ringrazia perché la fragrante nuvola al rabarbaro gli ha ricordato quando bambino andava a casa della nonna…
In un attimo, rabarbaro, cucine, estati, infanzia, ricordi, sensazioni si accavallano, si scompongono e si ricompongono in un vortice proustiano.
Ed è in virtù di questo effetto-Madeleine con tanto di eco che ho voluto parlarvi di rabarbaro proprio oggi, in una qualunque giornata di fine estate italiana. E – non so perché – ho il sospetto che di rabarbaro sentiremo parlare ancora…

 

M. Cristina Di Nicola, attrice e traduttrice, nasce a Teramo e vive a Roma ma ama la neve, il freddo e le aurore boreali, quindi un giorno chissà?  Appena può viaggia e se non può cammina – preferibilmente il mattino presto – in montagna, nei parchi, in città, ovunque!  Non ha mai smesso di stupirsi del mondo e prova a fermare la sua meraviglia con la macchina fotografica o con la penna. Golosa e curiosa, ha il culto del cibo, come elemento conviviale, culturale ma anche di puro divertimento.