Archivio Storico 2011-2017

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Il volo del Grifalco

01 Agosto 2014

Intervista a Cecilia Naldoni

Una donna del vino si racconta:

D: Cecilia, sei vignaiola da decenni, un ruolo prevalentemente maschile, come ti trovi in questi panni?

R: Ricordo come fosse ora il mio primo Vinitaly, era il 1993. Fabrizio era rimasto a casa, a seguire la vigna e la cantina, e soprattutto i nostri tre bambini che allora avevano 5 anni i gemelli e un anno il più piccolo. Questo mostra subito la misura del tipo di rapporto che avevamo e che è stato fondamentale per poter lavorare insieme tanti anni e per poter sviluppare in modo equilibrato e costruttivo sia le nostre individualità che il nostro lavoro. Lui si è sempre trovato molto più a suo agio in vigna o su di una botte e meno a suo agio con clienti, giornalisti o importatori, mentre il mio carattere è sempre stato più aperto: ovvio che sarei andata io in fiera! Decisione davvero semplice per noi, ma piuttosto controcorrente per il mondo che ci circondava. Non è stato semplice, eravamo poche a rappresentare quel ruolo, le donne erano per lo più standiste, interpreti, facevano public relation eccetera. Con una giovane produttrice amica, quel Vinitaly lo passammo in piedi nei corridoi: non avevamo abbastanza soldi per prendere uno stand, e i nostri vini erano in degustazione nello spazio consortile. Potevamo avvicinarci e presentarci o presentare il nostro vino solo se nelle degustazioni lo avessero scelto. Alla fine del secondo giorno, dopo aver trovato i nostri primi clienti, subimmo un processo da parte di produttori “amici”: secondo loro, il nostro sostare nei pressi dello stand consortile, faceva si che non fossero i nostri vini degustati alla ceca ad attrarre i possibili importatori, ma noi: dovevamo allontanarci di una ventina di metri. Questo era il mondo del vino allora, sembra siano passati secoli!  ( ma mica tanto..)

D: Come sei arrivata a lavorare nel mondo del vino? 

R: Avevo 24 anni, era il 1984. Ero vissuta in campagna, mio padre aveva deciso di trasferire la sua famiglia da Roma città ai Castelli Romani, iniziando la sua vita di pendolare. La nostra piccola vigna era l’incubo di mio fratello, costretto a seguirla. Volevo bene a mio fratello e di conseguenza la odiavo anche io. Con Fabrizio decidemmo di andare a vivere in Toscana, dove i suoi genitori originari di quella regione avevano un casolare a Montefollonico, per mettere su una azienda agricola: giovani, incoscienti e pieni di entusiasmo. Nel giro di dieci mesi trovammo un po’ di terra, una casa semidiroccata e firmammo il nostro primo mutuo. 26 ha tra seminativo, bosco e fra quelli tre ha di vigneto: Sangiovese, Canaiolo e Mammolo. Iniziammo con allevare pecore da latte, e contemporaneamente coltivavamo orzo e grano e seguivamo la vigna. I primi anni vendevamo le uve a un commerciante che veniva con il suo camion dalla Puglia. Sangiovese in Puglia! Poi, decidemmo di vinificare, e iniziò un innamoramento fatale per quel processo di coltivazione, raccolta e trasformazione che è fare vino. Da bravi studenti, studiammo tanto e ci appoggiammo ad un giovane enologo, Paolo Vagaggini, che si rivelò un bravissimo maestro. Ne carpivamo i suggerimenti, le spiegazioni, le indicazioni, e li facevamo nostri. Cominciammo così, e più passava il tempo e più capivamo quanto produrre vino fosse davvero quello che ci riusciva meglio. Tra errori, ingenuità e grandinate, andammo caparbiamente avanti.

D: Qual è il tuo rapporto con la terra, il lavoro in vigna ecc.?

R: Direi che per un vignaiolo, le vendemmie sono troppo poche! Abbiamo solo una possibilità l’anno, e le congiunzioni che devono accadere sono così tante! Ma è questa la cosa che più mi entusiasma: ogni anno è diverso, ogni anno capisci qualcosa in più, e ogni anno il piccolo strato di conoscenza aumenta impercettibilmente e ti ritrovi a prendere le giuste decisioni senza quasi capire il perché. La terra è dove cammini, dove ti sdrai, a cui ti avvicini per sentirne l’odore: quello stesso odore che ritrovi nei suoi frutti, e nei vini che nascono attraverso di lei. Per questo sono anni che cerco il termine giusto che traduca la parola terroir: non esiste. Terroir è esattamente quello che spiega il rapporto profondo che esiste fra me e il vino. Terra, vitigno, tempo atmosferico, la tua sensibilità che interagisce rispettandone tutti gli elementi, la collina, le erbe e i fiori, i sassi o i legni in cantina. La fermentazione, la temperatura, gli interventi minimi che servono solo ad accompagnare una serie di trasformazioni che avvengono a prescindere da te. È come timonare una piccola barca a vela: devi vedere e capire da dove tira il vento, se si alza il mare, se arriva una brezza troppo forte o se non tira nemmeno un filo di vento. Sei lì e ascolti, e ti fermi e aspetti o ti misuri con le avversità attraverso le tue esperienze. 

D: Quali – delle tante fasi che compongono la realizzazione di un buon vino – è quella che ti affascina e appassiona di più?

R: Per quanto mi riguarda, la fase più appassionante del mio lavoro è il momento in cui, a sei mesi dall’uscita di un nuovo vino, ci sediamo attorno ad un tavolo e proviamo le varie possibilità. Ogni contenitore è diverso, ogni botte ha un suo carattere e una sua peculiarità, ed insieme possono suonare divinamente o stonare. Noi siamo i direttori d’orchestra! Dobbiamo decidere chi è il primo violino e chi deve rimanere nelle retrovie, chi ha talento manifesto e chi invece lo ha enorme ma nascosto. Ecco, lì ci ritroviamo a discutere, ad urlare le nostre ragioni, a provare e riprovare e riprovare, fino a che decidiamo. Una magia, una magia a volte violenta a volte tranquilla: una meraviglia comunque. 

D: Hai detto che hai abbandonato la Toscana anche perché era diventata “puro marketing e poca vigna”. Puoi spiegare questa tua affermazione ai non addetti ai lavori?

R: Quando ci trasferimmo in Toscana, e comprammo la terra, il suo valore era davvero basso. I 26 ha acquistati allora erano paragonabili, come valore, ad un appartamento in una buona periferia di una grande città. Poi “avvenne” il 1990, e la grande annata scatenò il mercato del vino, fino allora sonnolento. Giornalisti di tutto il mondo scoprirono il Sangiovese, le Guide dei vini ne celebravano le meraviglie e le vendite si impennarono. Il decennio 1990 / 2000 vide arrivare un fiume di denaro, gli investimenti erano folli e venivano dal mondo della finanza, da industriali che compravano il pacchetto completo, vigna, cantina, agronomo, enologo, studio di marketing e pubbliche relazioni, solo perché volevano la bottiglia con la propria etichetta, per poterla esibire nei loro circoli dorati. Spariva il vino, spariva la terra e si mostrava il castello, la Spa era d’obbligo, come l’elicottero per portare gli ospiti in volo, le centinaia di barrique nuove ogni anno, e fiumi di denaro in inserzioni pubblicitarie, fiere, inviti giusti. Noi eravamo “solo” dei produttori di vino, senza capitali e con mutui infiniti. Piccoli, che facevano un ottimo vino ma che erano costantemente superati da chi produceva non per il mercato ma a favore del mercato, una battaglia fra una formica ed un elefante imbizzarrito. 

D: Tu e tuo marito da Roma vi siete trasferiti in Toscana e poi in Basilicata. Come mai la vostra scelta finale è caduta proprio su questa regione?

R: Il migliore amico di Fabrizio, Luigi, viene da quella terra, la Lucania. Alcuni viaggi in quel sud profondo e nascosto ci hanno mostrato come quella terra fosse tanto simile alla Toscana degli anni ottanta. Bellissima, quasi deserta, ricca di colline e boschi, piccoli laghi, vigneti vecchissimi e un terreno vulcanico che racchiudeva in sé delle promesse incredibilmente affascinanti, da scoprire. E il vitigno! L’Aglianico è un’uva nobile e quando nasce e cresce su un territorio come il Vulture ha in sé tali e tante sfumature e profondità da lasciarti senza parole. Sasso, ferro, lapilli, erbe mediterranee, e il caldo mitigato dall’altezza: vigneti fra i 400 e i 600 metri sul livello del mare. Come resistere?  

D: Quali sono i progetti futuri che riguarderanno Grifalco della Lucania, la vostra cantina?

R: Questa è forse la domanda più difficile cui rispondere: abbiamo imparato che il futuro è quasi sempre davvero poco prevedibile, soprattutto nel nostro lavoro. Di una cosa siamo certi: uno dei nostri figli, Lorenzo, ha finito enologia, (quante volte lo abbiamo dissuaso, quante volte gli abbiamo suggerito altre strade, quante volte gli abbiamo chiesto se era matto!!) e ama profondamente la vigna, come ama profondamente fare vino. L’altro, il più giovane Andrea, sta imparando ormai da anni come si lavora in vigna e in cantina, e vuole diventare la spalla del fratello, con una inclinazione in più verso i rapporti commerciali. Nostra figlia Francesca, invece, sta lavorando per "farci guadagnare il paradiso" (citazione da Andrea) in una Ong a Ginevra che si occupa di diritti umani. Questi sono i nostri veri progetti, il futuro è assolutamente loro!

 

Grifalco della Lucania

Località Pian di Camera - Casella Postale 102 - 85029 Venosa (PZ) 

www.grifalco.com

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