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Simona Lauri, la profetessa della quinoa

25 Aprile 2014
In luglio la prima raccolta in Lomellina
Simona Lauri, la “guru” della panificazione italiana che il mondo ci invidia, autrice di testi sul pane di adozione universitaria, è da qualche tempo è considerata la profetessa della quinoa. Da leggersi “chinoa” o meglio ancora “chinua”, questa parola dall’etimologia quechua, attestata nello spagnolo dal 1620, indica quella che per millenni è stata la base alimentare delle popolazioni andine.

Tecnologo alimentare e studiosa delle tradizioni gastronomiche mondiali, Simona ebbe quattro anni fa l’incarico dalla Federazione Italiana Panificatori di studiare nuove tipologie di alimenti.

Vegetariana convinta e fautrice di una dieta salutistica ed equilibrata, la presidentessa del Gruppo Donne FIP pensò immediatamente a questo pseudocereale che all’estero era già largamente utilizzato dagli chef più creativi (Gaston Acurio in testa).

Fu dunque la prima in assoluto in Italia ad introdurla nella panificazione: la presentazione ufficiale del suo primo pane di quinoa, realizzato secondo le tecniche artigianali italiane avvenne al SIAB (Salone Internazionale dell’Arte Bianca) di Verona nel 2010. La ricetta, naturalmente, è depositata.

«All’inizio non venni compresa» ammette Simona. E invece la quinoa potrebbe rivoluzionare l’alimentazione italiana, conquistando una larga fetta di estimatori anche fra i carnivori. Il motivo? E’ una validissima alternativa agli alimenti proteici, essendo ricca di tutta la gamma degli aminoacidi essenziali e di un complesso vitaminico di fondamentale importanza; in più, essendo completamente priva di glutine, è adatta ai celiaci. In commercio si trova sotto forma di seme (molteplici le varietà) ma anche di sfarinato, pasta, crackers o grissini.
Dal sapore intenso e dolciastro, a tratti semipiccante, ricorda vagamente lo spinacio e la barbabietola.
La farina può essere utilizzata per tutti i prodotti dolciari, da sola o tagliata, sia per frolle sia per masse montate, o per preparazioni salate (ad esempio le besciamelle).

Ma la vera rivoluzione è nell’arte panificatoria: Simona ha prodotto una madre a base di quinoa che, a seconda del grado di fermentazione avviata, dei microorganismi presenti e delle temperature di lievitazione, genera caratteristiche organolettiche nuove ed interessanti. Per panificare secondo le tecniche italiane la quinoa deve essere tagliata con un frumento, che crea la maglia glutinica e sostiene la lievitazione. Per addentrarsi nel terreno del gluten free, il pane in purezza si può assolutamente fare, ed ha un sapore molto particolare, a cui ci deve abituare.

«Generalmente però i prodotti per la celiachia utilizzano miscele di sfarinati differenti per migliorare la tenuta e arrotondare i sapori»precisa la Lauri, «e utilizzando degli idrocolloidi che simulano il glutine si consente all'anidride carbonica prodotta dalla fermentazioni in atto di restare all'interno del pane: così si ottiene un prodotto qualitativamente apprezzabile». Il vantaggio dell’introduzione della quinoa sta nell’apporto nutrizionale soprattutto in lisina che riso, fecola e maizena – i prodotti principalmente associati alla panificazione gluten free – non possiedono.

L’unico problema serio – il cui anno mondiale è stato celebrato dalla FAO nel 2013 - è il costo proibitivo (attorno ai 12 euro al kg, con vette di 6 euro al pacco da 200 g nei supermercati, ndr): attualmente i maggiori produttori sono Perù, Bolivia ed Ecuador, che faticano a sostenere la domanda mondiale, e le forniture arrivano ad intervalli molto ampi. Così al consolato peruviano viene un’illuminazione: impiantare la quinoa in Lombardia, il che permetterebbe non solo di far precipitare i prezzi ma anche di avere un prodotto italiano certificato, e annuncia l’idea nel gennaio scorso al Primo Quinoa Fusion Festival, organizzato in collaborazione con il comune di Sannnazzaro dei Borgundi (PV).

La pianta non ha particolari esigenze di coltivazione: cresce a qualsiasi altitudine e temperatura, dalle Ande alla pianura. Il progetto pilota unico in Italia prende avvio nel giro di poco tempo e Simona, in rappresentanza del mondo dell'Arte Bianca Italiano, affianca il console generale del Perù dott. José Ramiro Silva Delgado, la sua consulente signora Sinchez il cui contributo è di fondamentale importanza per l’avvio dei lavori, l’agronomo peruviano dott. Romolo Loaysa e l'Università di Piacenza nelle figure del Prof. Alberto Vercesi e di alcuni suoi colleghi; diversi agricoltori metteranno a disposizione i propri macchinari già utilizzati per la coltura risicola. La prima semina avviene alla presenza di Simona il 16 aprile presso la cascina Guastalla del Sign. Marinoni, Sindaco di Castelnetto (PV), mentre la raccolta è prevista per luglio.
Una data che entrerà nella storia, come il 1475, anno in cui Gian Galeazzo donò il famoso primo sacco di riso al duca di Ferrara.
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