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Filippo il cratico astronomico

02 Gennaio 2012
una storiella per grandi e piccini
Natale; a Natale siamo tutti più buoni; si ascoltano le canzoncine allegre. Questa volta, però, vi racconto la storia di Filippo, che di allegro aveva ben poco.
Quando aveva cinque anni si ritrovò per la prima volta in un ristorante: i suoi genitori non si potevano permettere di uscire spesso a cena, e quando lo facevano, lo lasciavano dalla nonna, che, detto tra noi, cucinava benissimo e gli preparava anche il dolce.
Per il compleanno della mamma però il papà decise di festeggiare insieme. Così presero la macchina e andarono al ristorante.
Filippo, curioso di natura, si chiese come mai apparecchiavano con due tovaglie una sull'altra, un sacco di posate, tanti bicchieri; a casa si occupava lui della tavola e tutta quella roba lì non la metteva. Pensò che ne avessero comprata troppa e la mettessero sui tavoli nella speranza che qualcuno rompesse o sporcasse qualcosa.
La serata fu molto piacevole, mangiarono piatti esotici e succulenti, ben lontani da quello a cui erano abituati, e chiusero il pasto con una mousse di castagne che li mandò in estasi. A due tavoli da loro c'era un signore solo, che continuava a chiedere un sacco di cose da mangiare, le spiluccava e poi chiamava di nuovo il cameriere; dal momento che la mamma gli aveva sempre detto di finire quello che c'era nel piatto, Filippo chiese spiegazioni.
'Si tratta di un critico gastronomico' spiegò il papà.
'Oh poverino, che cosa strana, ma sta male?' si preoccupò Filippo.
'Non ti preoccupare, sta benissimo, per lavoro quel signore va nei ristoranti, prova quello che cucinano e poi scrive cosa ne pensa sui giornali; critico vuol dire che dà la propria opinione, gastronomico vuol dire che riguarda il cibo'.
Fu in quel momento che Filippo decise che da grande avrebbe fatto il cratico astronomico. Tra i suoi miti non c'erano più pompieri che salvavano le nonne dai palazzi in fiamme, famosi piloti di auto o calciatori!
L'obiettivo era stato stabilito: da grande voleva diventare un famoso e stimato cratico.

Fortunatamente, crescendo e sfogliando dizionari ed enciclopedie, Filippo capì che il cratico astronomico era in realtà un critico gastronomico, così impiegò tutte le proprie energie per passare più tempo possibile in quei meravigliosi posti che erano i ristoranti; lì tutto era in ordine, le luci soffuse, i camerieri gentili, le pietanze succulente e, soprattutto, non gli toccava apparecchiare né sparecchiare.
Studiò quindi per cinque anni cucina, irritato da tutto il lavoro che c'era da fare, schifato da quanta fatica toccasse ai cuochi, pensando però che si sarebbe potuto sacrificare per qualche anno per arrivare ad essere un famoso critico.

Il tempo passò, lui era talmente preparato che i ristoranti lo chiamavano per avere delle dritte su come migliorare il servizio, fino a che un noto giornale non gli affidò una rubrica dove consigliava ai lettori dove andare a cena.
Fece carriera, arrivò ad essere così famoso che appena entrava in un locale ai camerieri batteva forte il cuore.
Una volta, una ragazza, quando se lo trovò davanti, svenne, rovesciandogli addosso il vassoio con un risotto ai gamberi. Assaggiando ciò che rimaneva del risotto sulla sua camicia, Filippo notò che si trattava di un piatto buonissimo, mancava solo un po' di pepe rosa.
La sua fama cresceva con la sua solitudine, così decise di andare al canile e adottare un cucciolo, un piccolo cane marrone scondinzoloso con le orecchie pelose. In poco tempo Patè, così chiamò il suo amico a quattro zampe, diventò la sua famiglia.
Filippo portava Patè in tutti i ristoranti che doveva recensire, ordinava anche per lui, scoprendo felice che il cane ripuliva, anzi, lucidava tutti i piatti. Erano una coppia perfetta.
Ogni tanto andavano a trovare i genitori di Filippo, ma non erano mai invitati a pranzo o a cena, perchè la mamma era stanca delle ramanzine che le faceva il figlio: 'Gli spaghetti sono troppo cotti', 'La carne è secca', 'Nei funghi manca l'aglio', 'Il pollo sa troppo di pollo' e avanti così. La mamma aveva rinunciato ad offrirgli anche il the con i biscotti, perchè il the era troppo liquido e i biscotti, secondo lui, troppo biscottati.

Arrivò il freddo, tempo di cioccolate calde, pacchi regalo e alberi di Natale. Filippo diventava triste ogni volta che ripensava alle feste: erano anni che non ne passava un Natale con i suoi genitori e non gli piaceva neanche andare al ristorante: almeno il 25 dicembre non voleva lavorare. Così restava in casa, si preparava due uova sode e delle patate lesse, perchè, finite le scuole, non aveva più cucinato, dal momento che il mondo era pieno di cuochi che lo facevano per lui, e spesso molto bene.
Così aveva dimenticato come cuocere un filetto, mantecare un risotto, impastare la pizza, ed era già tanto se non si tagliava un dito sbucciando le patate.
Quel Natale si sentì più triste e solo del solito, ma così triste e così solo che in un momento di assoluta pazzia prese quattro enormi sacchi di cibo per cani e uscì. Filippo aveva comprato tutti quei croccantini di prima categoria senza sapere che Paté lo avrebbe seguito nel suo lavoro; entrambi mangiavano fuori, così, quei sacchi grandi dieci volte il cane, erano finiti nel dimenticatoio in un angolo della dispensa.
Uscendo da casa con Paté (attenzione alla maiuscola), croccantini, ossi, biscottini e altre prelibatezze, caricò tutto in macchina e si diresse verso il canile dove aveva trovato il suo migliore amico a quattro zampe. Filippo pensò che se lui non poteva avere un bel Natale, almeno avrebbe organizzato un bel pranzetto per qualcun altro che non aveva famiglia: i cani abbandonati.

Arrivato a destinazione Paté e Filippo trovarono un sacco di macchine parcheggiate di fronte alla struttura, ma chissà perchè. Bussarono alla porta (anche Paté aveva imparato le buone maniere e batteva la zampetta contro il legno) e si trovarono di fronte ad uno spettacolo inatteso: venne ad aprire una bella donna dai boccoli corvini con un buffo cappello da Babbo Natale in testa. Dietro di lei fece capolino il muso curioso di un cagnolino nero dal pelo folto e lucente. In sottofondo uno stereo riempiva l'interno del canile con le canzoni Natalizie.
'B-buon giorno, s-scusi il disturbo, a casa avevo del cibo per cani in abbondanza e-e ho pensato di portarlo qui' balbettò Filippo.
'Grazie! È stato un pensiero davvero gentile, entrate! Come si chiama il suo piccolo amico?' chiese la donna.
'P-Paté' non gli capitava di balbettare da molto tempo.
'Ciao Paté, questo è Lupin, come il ladro, perché se in casa ci sono i biscotti che gli piacciono trova sempre il modo di scovarli e sgranocchiarli. Andate in giardino a fare amicizia!' e rivolgendosi invece a Filippo 'Io mi chiamo Sandra, piacere'.
'F-Filippo, piacere mio'.
'Avete programmi per pranzo?' chiese lei con un sorriso irresistibile.
'A dire il vero n-no' era stato preso in contropiede, non si aspettava una domanda del genere, e l'unica cosa che gli venne in mente fu la verità.
Stava già per accampare una scusa quando Sandra lo interruppe: 'Benissimo! Come ogni Natale organizziamo un pranzo tra tutti noi volontari del canile, ma dove si mangia in venticinque si mangia in ventisei, quindi accomodati pure!'.
Brutta storia... Filippo non era quello che si dice una persona dai gusti facili, non voleva essere sgarbato con Sandra, che tra le altre cose era molto carina, ma odiava la cucina amatoriale, fatta di pasta scotta e carne troppo cotta. Stava già pensando ad una fuga strategica quando una signora entrò nell'atrio dove c'era il tavolo con un pentolone fumante di pasta alla carbonara.
L'odore però non era male. Non era per niente male.
Incastrato in quella situazione guardò Patè, che saltellava e rincorreva felice Lupin e gli altri cani del canile e dei volontari. Pensò che questa volta avrebbe potuto sacrificarsi per il suo piccolo amico peloso.

Forse è meglio saltare i particolari del pranzo, come ad esempio un arrosto con patate, perché ci farebbero solo venire l'acquolina in bocca; vi dico solo che Filippo mangiò tutto quello che i volontari avevano preparato, e fece il bis del dolce: un semifreddo alle castagne che gli ricordò la prima volta che aveva messo piede in un ristorante.
Era da quando aveva provato la cioccolata alle nocciole che Filippo non si sentiva così felice. Ma non felice come chi ride davanti allo scivolone di qualcuno, felice come su una nuvola rosa di zucchero filato alla vaniglia. È il caso di dire che la frittata era fatta.

La vita di Filippo cambiò radicalmente: a pranzo mangiava nei ristoranti come il solito, il pomeriggio scriveva la sua recensione per il giornale in fretta e furia e la sera arrivava il momento più bello: andava al canile e preparava la pappa per tutti i cani. Inutile dire che così passò molto tempo con Sandra, sfruttando la scusa dell'amicizia di Paté con Lupin. Una sera prese il coraggio a due mani e invitò la bella Sandra nel suo locale preferito, ma lei rifiutò, perché al suo cucciolo non piacevano i ristoranti. Filippo stava già per sprofondare nella tristezza quando lei gli propose di cenare a casa sua, così non ci sarebbero stati problemi per i loro amici a quattro zampe.
Lui si illuminò, per lei avrebbe mangiato e ingurgitato qualunque cosa.
Come al solito, quando si ha così tanta sicurezza nascono le sorprese: Sandra era una cuoca sopraffina, e quando Filippo assaggiò la sua zuppa alle vongole rimase folgorato, e decise che se la sarebbe sposata.

Trovò anche il modo di mangiare con i suoi genitori: Filippo prese l'abitudine di invitarli la domenica a pranzo a casa sua... e di Sandra. Con una cuoca così non si poteva sbagliare.
E i cagnolini? Tutto bene, se non fosse che Lupin insegnò a Paté come aprire gli sportelli della cucina e andare a caccia di biscotti.
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