Archivio Storico 2011-2017

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Cristiano Brandolini

07 Luglio 2011
L'archeologo della birra
Cristiano Brandolini, l'affascinante archeologo che sembra uscito dalle pagine di un libro di storia medievale – a trovarselo davanti così alto, barbuto e con le chiome bionde al vento pare davvero un principe longobardo - in questo periodo è impegnato nella stesura di un libro che si preannuncia particolarmente interessante per gli appassionati di storia dell'alimentazione: tratterà infatti di storia ed archeologia della birra e dell'idromele, l'antichissima bevanda fermentata dal miele. L'uscita del testo, scritto in collaborazione con la storica Elena Percivaldi, è prevista per l'anno prossimo, ma nel frattempo Cristiano tiene diverse conferenze sull'argomento; ed è durante una di queste, al Festival del Libro della Brianza (Libritudine, Lissone, giugno 2011) che noi del Cavolo Verde gli abbiamo strappato la promessa di un'intervista. Ecco cosa ci ha raccontato a proposito della storia della birra: un percorso denso di sorprese.

(C. Brand.) 'La birra, tra le più antiche bevande alcoliche che l'uomo ha prodotto, deriva il nome dal latino bibere (bere), e la radice della parola spagnola cerveza deriva da Ceres, la dea greca dell'agricoltura. In celtico la birra era detta brito o briton: da qui il nome proprio di persona Britomaro, forse legato appunto al mestiere di produrre birra.

Le prime testimonianze sulla preparazione di una bevanda simile alla birra risalgono ai Sumeri, quindi all'incirca a 6.000 anni fa: è conservato un bassorilievo che rappresenta orzo e pane cotto e poi inumidito nell'acqua a formare una poltiglia e infine una bevanda con la proprietà di fare stare bene chi la beveva. La produzione viene affinata dai Babilonesi, poi esportata in Egitto, e gli stessi egiziani divennero grandi produttori di birra migliorando la tecnica e il gusto del prodotto. L'importanza della birra nell'antico Egitto fu tale che spinse gli scribi a coniare un nuovo geroglifico che indicava il 'mastro birraio'.

Da noi la birra arrivò in età protostorica: in una necropoli golasecchiana scavata a Pombia (No), nel 1995, una tomba miracolosamente intatta ha restituito, oltre al classico corredo, un bicchiere globulare, molto diffuso all'epoca, il cui fondo conservata un deposito rossastro simile a sabbia finissima. Si trattava dei resti liofilizzati di una bevanda fermentata a base di cereali, quasi certamente birra rossa, ricavata da orzo e altri cereali e – novità assoluta - infiorescenze di luppolo. I reperti sono databili alla metà del VI secolo a.C., mentre il dato storico relativo all'uso di questa pianta rampicante come usuale ingrediente nella produzione di birra era finora testimoniato solo a partire dagli scritti di Hildegarde von Bingen, ossia nell'XI secolo.

Gli antichi Romani consideravano la birra una bevanda barbara e le preferivano di gran lunga il vino, arrivando perfino ad identificarlo nella divinità di Bacco. E' noto come annacquassero il vino con acqua o miele, e lo aromatizzassero, per abbassare la gradazione alcolica, mentre i Celti al contrario lo consumavano 'puro': lo stesso vale anche per la birra, che in origine non era neppure aromatizzata. Tutt'al più, se il processo fermentativo andava storto, si inseriva nel mosto miele o frutta, che contengono naturalmente lievito adatto alla fermentazione (il lievito della frutta è contenuto nella buccia). La birra degli antichi era quindi molto diversa da quella a cui siamo abituati noi - forse non riusciremmo nemmeno a berla - ed era anche servita a temperatura ambiente. La più antica testimonianza di produzione sul suolo germanico risale addirittura all'800 a.C. ed è costituita da un'anfora rinvenuta vicino a Kulmbach nel nord-est della Baviera. Nata come bevanda da offrire in sacrificio agli dei, col tempo passò alle tavole quotidiane: ciò le permise di migliorare le condizioni di vita e di salute di epoche prive dei confort odierni, grazie alle sue indubbie proprietà taumaturgiche.

Fino al Medioevo il processo di birrificazione era appannaggio delle sole donne. Questa prerogativa svanì man mano che la birra cominciò ad esser prodotta nei monasteri (belgi e olandesi in primis) e divenne un'attività prettamente maschile. I monaci migliorarono il gusto ed i valori nutritivi delle loro birre arrivando a un consumo pro capite giornaliero, consentito dalle loro regole, di ben cinque litri: dovendosi smerciare le eccedenze, la birra iniziò a circolare fuori dalle mura dei conventi; la possibilità di trarne profitti tramite la tassazione catalizzò l'interesse dei potenti che riuscirono a sottrarne ai monaci il monopolio sul commercio. Nel 1516 Guglielmo IV duca di Baviera promulgò la Legge Germanica di Purezza della Birra, stabilendo che nel territorio di sua pertinenza per la produzione fossero impiegati esclusivamente orzo (successivamente anche malto d'orzo), luppolo ed acqua pura. In passato, infatti, si ricavava la birra da diversi cereali, da farro all'avena; ancora oggi nelle Fiandre si produce una birra, la Tripel Karmeliet, secondo un'autentica ricetta del 1679 originaria dell'antico Monastero Carmelitano di Dendermonde, che prevedeva l'uso di tre cereali: orzo, ma anche frumento e avena. Molte prove di fermentazione condotte in birreria hanno confermato che questa particolare combinazione tradizionale di cereali rimane ancora la migliore.

Coi secoli, le innovazioni tecnologiche perfezionarono le tecniche di lavorazione della birra. I mulini ad acqua, nel IX secolo, comparvero in Piccardia per preparare il malto, e l'introduzione di una serie di martelli verticali attivati da canne, ed inseriti su uno degli assi del mulino, furono fondamentali. In seguito, si migliorò anche il procedimento di 'ammostatura': ancora oggi l'orzo dopo la maltatura è introdotto in una macchina molitoria che lo riduce in una farina grossolana, poi diluita in acqua calda. La miscela così ottenuta, il mash, viene immessa in una caldaia e mescolata fino a ottenere un insieme omogeneo che, successivamente chiarificato, dà luogo al cosiddetto 'mosto'. Quest'ultimo entra in un'altra caldaia, dove viene aggiunto il luppolo. II tutto è portato a ebollizione e 'scremato' delle parti solide e delle proteine in eccesso. Raffreddata e posta in vasche, la miscela è pronta per la fermentazione, innescata dall'immissione del lievito. Con la rivoluzione industriale il vapore sostituì le braci di legna, le quali, oltre a maltare eccessivamente i cereali, conferivano alla birra un retrogusto affumicato. Si arrivò quindi a produrre birre chiare e con un gusto totalmente diverso da quelle prodotte fino a quel momento, birre del tutto simili a quelle attuali. Il motore a vapore permise anche di ottenere maltature a basse temperature e quindi la nascita delle birre chiare pils o ale mentre la refrigerazione artificiale consentì la produzione di birra anche in estate. Successivamente si iniziò ad addizionarla anche con anidride carbonica rendendola frizzante.

Oggi fra i vari centri di ricerca in campo birraio spicca sicuramente l'Università della Birra ad Azzate, nata nel 1997 come Istituto di Formazione Professionale altamente specializzato e aperto con il patrocinio della Regione Lombardia, dove, oltre a studiare la storia della birra, si attuano corsi di formazione per gestori di birrerie. Anche molti microbirrifici artigianali, oltre a produrre ottima birra, in alcuni casi contribuiscono agli studi archeologici e si pongono come centri di ricerca e sperimentazione: ad esempio, ritornando alla nostra birra golasecchiana di Pombia, nel 2006 il birraio Giuseppe Vento, del birrificio BIDU di Rodero, partendo dai dati archeologici ricavati dalle analisi del deposito all'interno del bicchiere, ha creato e prodotto 'Flavia Plumbia', la birra di Pombia, una spumeggiante rossa dal sapore leggermente acidulo, e l'anno successivo, un altro birrificio artigianale - il BABB di Manerbio (BS) – ha perfezionato ulteriormente la ricetta.'

E ora, due parole sulle attività di Cristiano Brandolini. Membro della Commissione di Gestione e del Gruppo Archeologico del Civico Museo Archeologico di Arsago Seprio (Va), collabora con musei, istituti scolastici ed enti pubblici e privati per i quali svolge conferenze, corsi e laboratori di didattica e archeologia sperimentale. Scrive su riviste specializzate ed è membro di redazione della rivista trimestrale 'Terra Insubre'. Dal 2009 è membro dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri. All'attività archeologica affianca quella di disegnatore presso la Soprintendenza Archeologica della Lombardia e su alcune riviste (fra cui 'Civiltà', edita da MyWay Media/DeAgostini Picture). Conduce con la storica e giornalista Elena Percivaldi (con la quale ha fondato la RavenArt Archeostoria&Arte) la trasmissione 'ArcheoStorie' in onda il mercoledì sulla radio privata Keltoiradio.

Nella foto 2: il bicchiere di Pombia contenente residui di birra
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