Archivio Storico 2011-2017

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Bacala’ alla vicentina

16 Settembre 2014

Quando un cibo diventa un racconto...

La casa della zia Matilde era formata da una sola stanza. In quel semplice locale i profumi della cucina si fondevano con l’odore acre del gesso umido e del marmo appena scolpito. Lo zio Cesare creava busti di bimbi ridenti, angeli, morbide figure femminili e fiori, dai petali delicati e trasparenti. Non aveva dimenticato gli anni della sua giovinezza, passati all’accademia di Brera. Il suo sogno di diventare un artista si era spezzato contro la dura realtà della Grande Guerra e, al ritorno, con quella, non meno grave, di sbarcare il lunario. Così aveva riversato la sua arte nella decorazione di lapidi e tombe di famiglia, senza tralasciare la sua passione per il disegno, la bella scrittura e la cetra da tavolo, antico strumento ormai quasi dimenticato.

Dopo un lungo fidanzamento aveva sposato Matilde; la signorina Montresor, abituata a ben altri ambienti, aveva rinunciato ad una vita agiata per seguire Cesare, lo scultore romantico e squattrinato.

La cucina economica, ora tornata di gran moda, era il cuore della casa. Riscaldava, produceva le braci per lo scaldino del letto, asciugava i panni e manteneva sempre calda una certa quantità di acqua;  nel forno e sulla piastra a cerchi concentrici, inoltre, si poteva cuocere al meglio qualsiasi pietanza.

Quasi ogni giorno, sulla stufa a legna pipava la terracotta del baccalà e borbottava il paiolo di rame della polenta, morbida e profumata.

La zia metteva a bagno lo stoccafisso, ben battuto, in un piccolo mastello di legno; cambiava  l’acqua ogni quattro ore e dopo tre giorni, ammorbidito dal lungo bagno, lo toglieva e lo asciugava con uno strofinaccio rigato. Sistemava i pezzi diliscati e infarinati nella pentola di terracotta, stretti, stretti, senza lasciare spazi; li spolverizzava di sale, pepe, grana grattugiato e prezzemolo tritato. In un tegame faceva appassire nell’olio e nel burro due belle cipolle bionde e due spicchi d’aglio tritati finemente con la mezzaluna; aggiungeva, quindi, tre acciughe sotto sale diliscate e pulite, facendole sciogliere dolcemente nell’intingolo. Appena disfatte le sfumava con mezzo bicchiere di vino bianco secco e versava il tutto sul baccalà che raggrinziva al calore del soffritto come fosse vivo! Alla fine univa il latte caldo. Copriva  il coccio con la carta oleata e lo posizionava in un angolo della cucina economica, nella parte meno calda, perché il baccalà doveva sobbollire appena, a lungo: ore e ore di paziente cottura che lo avrebbero reso sapido e cremoso, tenerissimo.

Avevo dieci anni quando gli zii si trasferirono in una vera casa e la stufa a legna venne sostituita da una più funzionale cucina a gas. Gli zii se ne sono andati, ad un anno esatto  l’una dall’altro, in silenzio, discreti e semplici, così come era stata la loro vita.

Molti anni sono passati, ma il sapore di quelle serate invernali, allegre e malinconiche, mi accompagna ancora, caldo e intenso, indimenticabile.

Ingredienti per 12 persone

Ricetta classica del bacalà  alla Vicentina della “Venerabile Confraternita del bacalà alla vicentina”

Kg. 1 di stoccafisso secco (praticamente un pesce intero)

Gr.500 di cipolle

Litri 1/2 di olio extravergine d’oliva

3-4 acciughe

½ litro di latte fresco

Poca farina bianca

Gr.50 di formaggio grana grattugiato

Prezzemolo tritato

Sale e pepe

 

Il procedimento è lo stesso della “zia Matilde”; cambiano un po’ gli ingredienti, perché non c’è l’aglio (ma per me ci vuole!), il burro ed il vino bianco. Scegliete voi la versione che preferite, ma, ricordate, l’importante è non avere fretta, prendetevi tutto il tempo che vi serve. E, inoltre, sappiate che il baccalà alla vicentina non va mai mescolato; “Lui” è un tipo un po’ rigido, e da quando è famoso nel mondo non vuole essere toccato da nessuno! Scherzi a parte, durante la cottura limitatevi a scuotere la pentola con un movimento rotatorio. Cercate di usare uno stoccafisso di qualità “Ragno”, di non eliminare tutta la pelle e di non buttare la “trippetta” del merluzzo, cioè il suo stomaco essiccato, sempre presente nei pesci interi. Occorre lavarlo bene e tagliarlo a pezzi; aggiunto al baccalà   lo renderà  ancora più ricco e morbido.

Ultimo consiglio: se non disponete della cucina economica è bene frapporre tra la fiamma diretta e la pentola una retina o, ancor meglio, un rialzo in ghisa, perché la preparazione deve soltanto “pipare”. Una valida alternativa è il forno, ma, mi raccomando, non deve superare i 100/120  gradi di temperatura e copritelo per bene con carta da forno bagnata e strizzata, così aderirà alla preparazione senza far entrare l’aria. È un piccolo segreto per evitare che il bacalà si colorisca troppo diventando secco e stopposo come spesso succede ai meno esperti. Attenzione anche a non lasciare che si asciughi troppo. Unite, se necessario, ancora latte. E non lesinate sull’olio, deve essere abbondante e di ottima qualità perché, in fondo, è il “pocio” la vera bontà di questo piatto ineguagliabile. Dopo tante ore di fuoco il povero bacalà avrà donato tutto se stesso fondendosi in quel intingolo denso e saporito.  Rigido, ma generoso il nostro pesce bastone che viene da Lofoten! 

P.S. Non c’è errore nel titolo, per  i vicentini lo stoccafisso è il bacalà, con una C sola, quello con due C è il merluzzo salato! 

 

E, per finire, la poesia!

Metti a mollo il bacalà

Per tre giorni e anche più,

poi infarina là per là

tutti i pezzi su per giù.

 

Stretti, stretti, stan nel coccio,

olio buono, un “acciughino”,

la cipolla, aglio in boccio,

latte fresco e burro fino.

 

Con vin bianco profumato

Per benino va innaffiato,

di prezzemolo tritato

e formaggio spolverato.

 

Molte ore sta a pipare,

piano, piano, a fiamma lenta,

gustosissimo “mangiare”

da gustar con la polenta!

 

P.S. 2 Il re del baccalà, Franco Favaretto, oste del locale di Mestre “Baccalàdivino” , mi ha invitata a parlare con lui di stocco e baccalà. Ne verranno fuori delle belle, e io ve le racconterò!

 

 

 

 

 

 

 

 

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