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La primavera è servita

23 Marzo 2013
I fiori eduli fra storia e curiosità
I fiori, firma inconfondibile della primavera incipiente, sono oggetto di attenzioni alimentari sin dai tempi antichi. Opinione comune è che si tratti di un'usanza prettamente orientale; e invece l'Europa del basso medioevo può vantare già una assestata tradizione in materia. Diversi erano a quell'epoca gli utilizzi dei petali in cucina: sia freschi, sia essiccati e poi polverizzati, venivano principalmente annoverati fra le spezie, come testimonia Giovanni di Garlandia nel suo “Dictionarius” (XIII secolo) quando cita il giglio, la rosa e la violetta fra le erbe aromatiche. Il profumo ed il colore che donavano alle pietanze erano qualcosa che oggi ci è sconosciuto e la cucina medievale ne era permeata. Suggestive tracce di questa prassi rimangono in alcuni dolci rustici, come il lombardo pan de mej, aromatizzato con una miscela di fiori di sambuco essiccati, sia direttamente nell'impasto di farina gialla (anticamente di miglio, da cui il nome) sia in superficie.

Essendo poi la cifra della cucina rinascimentale il colore delle pietanze prima ancora del sapore, non ci si stupirà nel venire a sapere i grandi cuochi del Cinquecento ricorrevano quotidianamente alle polveri floreali. Lo zafferano in particolare era l'oro nel piatto, e come l'oro era costosissimo e prezioso: difatti coloro che lo adulteravano venivano puniti con la morte. Nelle cucine più modeste era sostituito da un miscuglio macinato di crochi eduli campestri, coltivati sino a prima dell'ultima guerra ancora dalle nostre nonne. Gli facevano da contrasto l'azzurro della borragine e il rosso delle rose, assieme ad altre infinite sfumature naturali ricavate anche dalle erbe spontanee o coltivate.

La presenza dei fiori, come del resto delle erbe, nella cucina occidentale è tutt'altro che marginale e si può dire che la caratterizzi dalla notte dei tempi, in infiniti toni. Uno degli utilizzi alimentari diretti dei fiori in Occidente, ad esempio, è da sempre l'infusione, nella duplice veste delle tisane e dei decotti taumaturgici e nel contempo alimentari. Anche la liquoreria artigianale ha spesso desiderato imprigionare la fragranza dei fiori nelle note alcoliche: nell'etimo stesso dei rosoli c'è un bocciolo fatto nettare sublime. Stessa sorte per la distilleria, pur con genesi e sorti diverse. Per non parlare dell'industria della birra, che sfrutta l'infiorescenza del luppolo a partire dal secondo millennio (nell'alto medioevo la si aromatizzava variamente con frutti di bosco, castagne ed erbe).

L'uso di fare delle corolle il protagonista audace del piatto, in torte salate, frittate e fritture risale invece alla cucina popolare, pur essendo stato immortalato dai ricettari del Quattrocento, Maestro Martino in testa. Ancor oggi resiste la tradizione della raccolta dei candidi ombrelli del sambuco, a partire dalla fine di aprile a seconda degli anni, e comunque dalla completa apertura delle delicate trine: preda ambita di mani abili nell'impastellare e friggere senza coprirne il delicato aroma. Allo stesso modo finiscono in padella i fiori di acacia e i glicini, in diverse regioni.

Cambiando leggermente di destinazione, forse non tutti sapranno poi che il cappero altro non è che un bocciolo catturato dalla salamoia o dall'aceto. Infatti, quando in epoca di autarchia si dovette ricorrere a prodotti il più possibile al chilometro zero, ma per forza di cose e non per velleità modaiole, laddove i capperi non erano propriamente nostrani ci si ricordò del vezzo antico delle nonne d'altri tempi che mettevano sottaceto i boccioli del tarassaco, o dente di cane, e si ricominciò a setacciare i prati. Ma non ci si stupisca più di tanto, perché molti altri fiori arrivano sulle nostre tavole, in primavera ma anche in altre stagioni, e noi scotomizziamo. E' il caso, ad esempio, del carciofo, una varietà di cardo originario del bacino del Mediterraneo: proprio il suo fondo, la cosiddetta “barba”, costituisce l’infiorescenza che sboccia in tanti piccoli fiorellini fra il viola e il blu scuro, mentre le parti commestibili sono in realtà le basi carnose delle foglie verdi, o brattee; ma è un fiore anche l'asparago, bizzarro fiore edule della famiglia delle orchidee. E se vi dicessimo che anche il cavolfiore, diffusosi in tutt’Europa solo a partire dal Settecento, è in realtà un’infiorescenza degenerata e sterile, e che vale lo stesso discorso per i broccoli, una massa compatta di boccioli che sfiorendo ingialliscono, ci credereste? Due fiori stravaganti e invernali.

Non di soli risotti ai petali di rose, dunque, si intesse la storia occidentale dei petali in cucina: a proposito, la paternità del piatto è attribuita a D'Annunzio, esteta e poeta anche della forchetta. Anche a livello indiretto, la loro presenza sulle tavole nostrane è straordinaria. Cosa dire ad esempio dei formaggi, che debbono agli elementi floreali ed alle erbe di campo gran parte del loro temperamento? E degli infiniti mieli, nobilitati e declinati proprio dal fiore che ne custodisce il segreto? In caseificazione, poi, il cosiddetto caglio vegetale veniva ricavato, in alcune aree montane alpine ma anche appenniniche, dal fiore del cardo, ma anche, più sovente, da un fiorellino giallo appartenente alla famiglia delle Rubiaceee, denominato volgarmente Galium, contrazione popolare di coagulum, che cresce spontaneo nei pascoli di tutt'Europa.

Per concludere la carrellata, non si può dimenticare che i fiori sono protagonisti dell'industria della canditura da molti secoli: famosissime sono ad esempio le violette candite torinesi, liguri e varesine. Una doppia operazione di cristallizzazione e brillantatura, in realtà, che consiste nell’immergere il fiore in una soluzione di gomma arabica ed acqua. Questo composto colloso, prima di essere utilizzato, va filtrato e lasciato riposare per un giorno, dopodiché vi si immergono rapidamente i fiori e successivamente si spolverano di zucchero semolato addizionato di coloranti naturali, rispettando la tinta originaria del fiore. In ultimo i fiori vengono cosparsi di uno sciroppo di zucchero freddo e riscaldati a circa 30-35° C per sei ore, per consentire allo zucchero di cristallizzare.

Non stupiamoci, dunque, quando qualche cuoco di grido ritaglia le tagliatelle da una sfoglia al pelargonium (geranio edule) oppure scodella un risotto ai fiori di rosmarino. Sta semplicemente ripercorrendo le corde di una tradizione molto antica e sempre molto in voga.
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