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Dai biscotti di Novara ai Pavesini, dalle suore a Re Biscottino

08 Febbraio 2013
storia di un dolce monastico che diventa l’icona del Carnevale
I biscotti di Novara, conosciuti nel duplice formato piccolo (da cui il diminutivo di “biscottini”) o più grande (“novaroni”) sono un prodotto molto antico, la cui vicenda è particolarmente curiosa: nonostante l’origine in ambito religioso, infatti, subiscono una svolta inaspettata e decisamente profana, divenendo addirittura l’emblema del Carnevale.

La nascita si colloca in epoca rinascimentale, in un convento cittadino dove le suore avevano a disposizione non solo parecchie uova (cibo onnipresente sulle tavole monastiche per ragioni legate alle restrizioni alimentari imposte dal digiuno), ma anche il costosissimo zucchero nonché la pregiata farina bianca; pare che fosse usanza offrire questi delicatezze agli alti prelati cittadini per ingraziarseli (sui risvolti boccacceschi ci permettiamo di accennare un velato sorriso).
Al contrario, i dolci tipici contadini della festa erano semplici pani o focacce arricchiti di miele e frutta secca, spesso a base di farina gialla -prima di miglio e più avanti di mais -, albumi (ossia la parte più povera dell’uovo, riservato al desco) e frutta secca. Proprio in queste due strade parallele, monastica e contadina, va ricercata l’origine della maggior parte del patrimonio dolciario tradizionale italiano.

Non si confonda pertanto la semplicità della lavorazione, che è indice di grande perizia e finezza culinaria, con una genesi povera, che i biscotti di Novara proprio non hanno. Tanto leggeri da essere tradizionalmente destinati ai convalescenti (perché privi di grassi aggiunti), in realtà sono il risultato di una sapiente amalgama di tre soli, ma preziosissimi ingredienti, in cui il rapporto uova-zucchero-farina è massiccio, al pari di un pandispagna: una nuvola di sapore degna di ambire al desco di un re.
Forse per questo la pasticceria di corte sabauda, che proprio nel XVI secolo raggiunge i vertici dell’arte dolciaria italiana, si impadronì astutamente della ricetta elaborando i “savoiardi”, del resto molto simili anche ai pistoccus sardi, che offriranno il modo di “rietimologizzare” l’antico dolce insubre a loro futuro vantaggio.

Nell’Ottocento la storia del noto prodotto si infarcisce di eventi di rilievo: innanzitutto l’editto napoleonico che intimò la chiusura dei monasteri e di fatto esauriva la produzione dei biscotti in ambito monacale. Produzione che però trovò subito nuovi spazi in ambito laico, grazie all’intuizione di un farmacista, che rielaborò la ricetta promuovendola come il Biscottino di Novara del Prina (il suo nome), facendo leva sulla forza taumaturgica del dolcetto.
Nel frattempo, grazie all’introduzione della barbabietola da zucchero, nella seconda metà del XIX secolo fioriscono i laboratori artigianali specializzati nella produzione del biscotto di Novara: nel 1852 apre la storica pasticceria Camporelli, mentre nel 1860 Grassini introduce la singolare tecnica di cottura su carta paglia, metodo tuttora adoperato a livello artigianale, che regala al biscotto una particolare croccantezza (merito anche di una doppia cottura) e il caratteristico bordo ambrato.
E siccome questi biscotti non erano propriamente un cibo di penitenza, e per giunta stava crescendo la loro fama anche fuori dall’Italia, nel 1872 i Novaresi decisero di dedicare loro la novella rassegna del Carnevale, periodo in cui si consumano appunto vivande di un certo “spessore”. Venne così istituita ex novo la maschera del Re Biscottino, e da allora la città di San Gaudenzio nel periodo grasso viene ribattezzata Biscottinopoli. Impersonato nelle ultime undici edizioni dal geometra Sandrino Berruti, il Re Biscottino (che si può seguire sul blog http://rebiscottino.myblog.it/)vanta una lunga serie di illustri attori, primo dei quali quell’Arturo Merati che alla fine del XIX secolo fu Direttore e Proprietario del "Corriere di Novara”.
Dopodiché la storia contemporanea del biscotto di Novara è cosa di dominio pubblico.Mario Pavesi, che prima della guerra gestiva in provincia di Pavia un piccolo laboratorio di pasticceria, e che durante la guerra si era dovuto riciclare come venditore di gallette per militari, a conflitto chiuso approda a Novara e fonda in largo Leonardi la sua nuova azienda, indirizzandola in chiave industriale: nel 1948 vengono commercializzati i “trentadue biscotti in un etto”, al prezzo simbolico di cento lire. Ne risulteranno rivoluzionati la linea produttiva, l’estetica e la stessa confezione: per la prima volta i biscotti di Novara, tradizionalmente venduti sfusi,alla dozzina o al chilo, o nelle versioni eleganti accoppiati a due a due, vengono proposti confezionati nei noti pacchetti dei Pavesini.
Per concludere, un aneddoto gustosissimo circa la produzione parallela artigianale, tuttora molto fiorente, che ci viene regalato da una novarese doc, la signora Silvana Danesi, fine poetessa dialettale. Seguiamo il suo racconto.
«C'era tanto tempo fa un pasticcere famoso per la sua stravaganza: il Signor Barberis, primo vincitore della SISAL a Novara. Egli produceva 100 biscotti al giorno, non uno di più o uno di meno. Nel suo negozietto in vicolo Monte Ariolo, completamente tappezzato di massime, frasi celebri, proverbi e modi di dire in lingua franca e locale, c'era sempre la fila, perché erano i migliori biscotti di Novara e dintorni. Purtroppo era un tipo strano. Se riuscivi ad entrare per comperare i biscotti, non sempre riuscivi nell'intento. Infatti, secondo l'umore del momento o della simpatia, se eri fortunato potevi uscire con sette o otto biscotti, ma era il massimo. Altrimenti solo con tre o quattro o addirittura nessuno se gli eri antipatico o lui non dell'umore giusto.»

Per approfondimenti:
http://novaresi.blogspot.it/2012/02/re-biscottino-ed-il-carnevale-novara.html
http://www.pavesi.it/italian/la-storia.php
http://rebiscottino.myblog.it/
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