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Degustazione Bourgogne Pinot Noir

25 Novembre 2010
Parliamo di eleganza
L’impazienza per la degustazione di stasera mi ha colto improvvisamente nel primo pomeriggio, quando stavo rientrando da un giro nel Monferrato per motivi per nulla legati all’enopassione. Mentre percorrevo le dolci curve abbarbicate alle colline, guardando i filari ormai vendemmiati e resi incantevolmente vermigli dall’incipiente autunno, ecco che la mia mente è volata oltralpe.

Inevitabile il collegamento emotivo con altri colli incantati, quelli di Borgogna.
Dove da secoli matura, grande ma taciturno, il Pinot Noir.

E la serata da Luca Castelletti, terza della serie DEGUST…dedicata alla grande enologia di Francia, ne propone addirittura cinque, di annate crescenti dal 1992 al 1982.

Cinque duchi borgognoni, degni della tavola di papi e monarchi!

E allora, buttiamoci a capofitto nelle meraviglie di questo vino!

Accostandosi alla Borgogna nella sua espressione in rosso più tipica, l’appassionato sa che la parola ricorrente in degustazione non potrà che essere Eleganza. Scordiamoci qui i vini muscolosi ed aitanti (li troveremo tra qualche settimana quando balzeremo dalle parti della Gironda), quelli che tramortiscono con la struttura erculea e i tannini rinforzati.
No, il Pinot Nero è punta di fioretto…leggiadria…arabesco…svolazzo…ghirigoro.
Tra un Bourgogne e un Bordeaux c’è la stessa differenza che passa tra Carla Fracci alla Scala e Mike Tyson al Madison Square Garden! Resa l’idea?

E appena Luca riempie i bicchieri ce ne accorgiamo.
Innanzitutto, la trasparenza: pur essendo vini di lungo invecchiamento, quindi con tonalità di rosso lontanissime dal rubino e prossime invece all’ambrato, dimostrano la tipica esiguità di materia colorante che contraddistingue l’uva. Intendiamoci, non è una penalizzazione: il Pinot ha sempre scarsissimo estratto secco in confronto a molte altre varietà rosse.

Però, parlavamo di eleganza. Nella terminologia della degustazione ideata dall’AIS, questo aspetto è espresso sia durante la valutazione olfattiva che quella gusto-olfattiva mediante il parametro della QUALITA’, che rappresenta una sorta di compendio tra intensità, complessità, equilibrio e persistenza: di fatto il vino elegante deve esprimere un profumo “particolarmente elegante, dotato di grande intensità e con un ampio ventaglio di sfumature odorose, che mettano in luce anche franchezza e tipicità” ed esibire un gusto “perfettamente equilibrato e con un finale ricco di personalità, classe e complessità”.
Mica uno scherzo!
Beh, per i vini di stasera, possiamo utilizzare senza timore i valori più alti della scala di gradazione della qualità!

Prendiamo il primo vino, il Pinot Noir Les Bergeries, 1992 (Domaine Henri Clerc).
Senza nemmeno avvicinare le narici al bicchiere siamo investiti da profumi d’ogni tipo: si parte con sentori più impegnativi, come il francesissimo goudron (il nostro catrame), lo iodio e una marmellata alcolica di marasche; poi, man mano che il vino si scrolla di dosso gli anni di reclusione in bottiglia e riassapora l’ossigeno fresco, ecco comparire una tostatura elegante, la prugna secca, il caffè.
All’assaggio si impongono il rabarbaro e l’affumicatura.
Passano altri minuti e spuntano addirittura aromi di agrumi canditi, il fico e le spezie.
La persistenza? Lunghissima…
Siamo colpiti dall’equilibrio: l’acidità dopo tanti anni è dolcemente smorzata, ma si armonizza alla perfezione coi tannini gentili, per realizzare un connubio che risulta davvero molto bilanciato.

Queste stesse caratteristiche le ritroviamo, seppur più ruspanti (in sala c’è consenso unanime nel definirlo “Il Contadino di Borgogna”), nel Beaume Cru Charme Gaufriot 1992 dello stesso produttore.
E’ una specie di fratello minore del precedente, con sensazioni olfattive e gustative di minor impatto ed un equilibrio leggermente spostato verso le durezze in ragione di una tannicità più percepibile.

Il Santenay Premier Cru Les Passetemps 1986 (Domaine Louis Lequin) apre invece con una punta di vegetale, ma poi rivela un naso estremamente elegante, con note più dolciastre e salmastre.
All’assaggio la sensazione (pseudo)calorica data dall’alcolicità è spiccata all’inizio, ma subito ben si amalgama comunque con le durezze, in particolare coi tannini che arrivano con un attimo di latenza.

Nel Chassagne Montrachet Premier Cru 1988 di Lequin la nota dominante è invece una tostatura che ha del sublime. Avete presente l’aroma che esala da una torrefazione di caffè? Inebriante…
Nonostante l’età mantiene una longevità ed un carattere che potrebbero consentirci di lasciarlo in cantina per altrettanto tempo prima di assaggiarlo nuovamente. Forse esageriamo. Peut-être. Ma l’equilibrio impeccabile già raggiunto ha giustificato comunque il ricorso odierno al cavaturaccioli.

Si chiude alla grande. Un Vosne-Romanée 1982 (Domaine Jean Gros).
Sarà all’altezza del suo blasone?
Mais oui, mes amis!
L’apertura tostata è più delicata, compare una rimembranza tartufata. Passa qualche attimo e si affaccia la spezia e – incredibile a dirsi – delle note fruttate!
C’è chi, sbigottito, addirittura si chiede: “Ma è bianco !?”
Al gusto è l’espressione massima dell’imparzialità tra acidità e tannino, che paiono dosati con certosina e metodica precisione.
Magnifico…
E siamo tutti fortunati, perché Luca ci regala rabbocchi continui per lasciar durare il sogno il più a lungo possibile.

Insomma, i diversi Pinot Noir degustati si sono certamente contraddistinti per un livello qualitativo molto elevato ed hanno ammaliato i nostri sensi.
Abbiamo toccato con mano la realtà di un vitigno molto particolare, che si ama o si odia, ma mai si confonde. Questo perché è la quintessenza dell’espressione del terroir più antico e inviolabile, dell’anima contadina di chi il vino in Borgogna lo fa sporcandosi davvero le mani di terra.
Spostate quest’uva anche di poco al di fuori dei suoi confini ideali e perderete il mistero e la bellezza di questi vini…

A rendere memorabile il ritrovo è stata – come sempre – la cucina di Scilla, che ci ha deliziato con crespelle al tartufo, grana e fontina, con soppressata invecchiata accompagnata da polentina bianca e biscottini all’anice.

Ah, dimenticavo… il fuoriprogramma, per un manipolo di eletti, ha previsto un assaggio estemporaneo di Tokaji Szamorodni del 1961, direttamente nel sancta sanctorum della cantina personale dei Castelletti…
primi sui motori con e-max.it
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