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L'arte del bere nel mondo celtico

13 Marzo 2012
situle, coppe e bicchieri
Come avete letto negli articoli precedenti, molto si conosce circa la conservazione e il trasporto del vino presso le popolazioni celtiche. Ma vi è anche un altro aspetto molto significativo, ossia 'l'arte del bere', ben rappresentata da situle e ciste e dal vasellame da mensa presente nei corredi funebri.

Per quanto riguarda le situle (recipienti in lamina di bronzo usati per la mescita del vino) e le ciste, numerose sono le attestazioni in tutto l'arco alpino, tra Golasecchiani e Leponti: basti ricordare le situle grandi e finemente decorate delle due tombe di guerriero di Sesto Calende. Forse, però, le più interessanti sotto l'aspetto decorativo sono quelle retiche.
Estremamente interessante è la cista di Sanzeno di Anaunia (Tn), datata al 500 a.C. ed esposta al Ferdinandeum di Innsbruck. Essa reca la rappresentazione di alcune scene in evidente correlazione. Nella prima si coglie un uomo che attinge il vino con un mestolo da un grande recipiente e lo offre ai presenti per la libagione. Nella seconda, purtroppo mutila, è rappresentata una scena di aratura e dissodamento del suolo, attività propedeutiche alla piantumazione di vite. La terza infine, raffigura il connubio tra un uomo e una donna ai quali viene offerto del vino. Alla luce della simbologia religiosa dell'epoca, che identificava l'aratura con la fecondazione della terra, il significato beneaugurante del recipiente risulta dunque chiaro: il vino è prodotto dalla terra fecondata dall'aratro, viene consumato e infine offerto alla coppia che in virtù della stessa bevanda risulterà a sua volta feconda.
Altre situle simili sono quella di Bologna (VI sec a.C., esposta al Museo di Providence, Rhode Island, USA) con scene di banchetto sacro con assunzione abbondante di vino, e la situla Benvenuti (VI sec a.C., esposta al Museo di Este) in cui due personaggi innalzano le coppe per un brindisi o semplicemente per mostrarle agli astanti.
Il vino era attinto dalle situle e versato nelle coppe mediante l'utilizzo di un mescolo. Numerosi mescoli o attingitoi sono stati rinvenuti assieme alle situle, come ad esempio il bell'esemplare di Sanzeno o gli attingitoi golasecchiani della Cà Morta di Como e Pazzallo (Lugano).
Non ultime per importanza e bellezza, le brocche bronzee a 'becco d'anatra' di tradizione etrusca, pressoché inesistenti tra i golasecchiani e invece ben attestate tra i leponti (Molinazzo, Cerinasca d'Arbedo e Giubiasco).

Ben presente nei sepolcreti golasecchiani sono invece i recipienti in ceramica, in particolare coppe e bicchieri. Una prova eloquente del consumo diffuso e di una produzione vinicola già presente nel V secolo a.C. in tale contesto è data dalla profonda modifica dei vasi potori deposti nelle sepolture. Alla fine del VI secolo a.C. era diffuso infatti un tipo di boccale apparentemente più adatto, sotto l'aspetto ergonomico, al consumo della birra (cervisia): lo suggerirebbe anche la capacità, doppia rispetto ai bicchieri solitamente collocati all'interno delle urne, concepita dunque per contenere una bevanda di minore gradazione alcolica. Ma a partire dal V secolo a.C. ecco comparire tipologie nuove di bicchieri assai meno adatti alla birra, il che farebbe presupporre un cambiamento di abitudini nelle libagioni e in particolare il consumo crescente del vino rispetto, appunto, alla birra. Del resto, Plinio colloca proprio nel Novarese (Novarensis agricola) la coltivazione di un Arbustum gallicum con tralci di impressionante lunghezza, che producevano vini aspri e torvi, ovvero con un alto contenuto tannico. La citata descrizione, da parte di Strabone, di botti per l'invecchiamento del vino 'grandi più delle case', evidenzia come questi vini avessero bisogno di una consistente ossigenazione, probabilmente perché consumati puri o con scarsa associazione di resine, miele o altro. Un tipo di enologia, insomma, totalmente differente da quella classico e mediterraneo, con molta probabilità legato all'abitudine dei Celti di consumare birra pura rossa ad alta gradazione.
Il processo di 'assimilazione' al vino continua anche in seguito. La seconda età del Ferro, attorno al III secolo a.C., è - sull'areale a cavallo del fiume Ticino - l'epoca del 'vaso a trottola', tipico contenitore da vino derivato dalla tradizione del 'vaso a bottiglia' golasecchiano. Parecchi vasi di questo tipo sono emersi dalla necropoli gallo-romana di S. Ambrogio ad Arsago Seprio (Va), datata al I secolo a.C.. Tutti privi di decorazione e di un bel colore rosso, sono diversi da quelli rinvenuti in territorio piemontese - ad esempio nella necropoli di Dormelletto (III-I secolo a.C.) - che invece conservano ancora la tipologia tipica d'Oltralpe, giunta a seguito della recente invasione gallica del IV secolo a.C.: colorazione scura della ceramica e decorazioni geometriche monocrome o a più colori, riscontrabile anche in alcuni vasi della necropoli di Oleggio sempre sulla sponda piemontese del Ticino, o quelli di Ornavasso.
Abbiamo mostrato dunque come gli Insubri, dall'iniziale preferenza per la birra, a seguito dei contatti culturali e commerciali con il mondo mediterraneo e in particolare etrusco hanno adottato la vite, affiancando il vino alla loro 'bevanda nazionale'. Abbiano adottato nonostante a ridosso della conquista romana il vino - come dimostrano le evidenze archeologiche - fosse ampiamente diffuso ed apprezzato in tutta la società celtica, la birra continuò ad essere bevuta senza soluzione di continuità.
Parrebbe dunque di poter dire che i Celti insubri, seppur influenzati da usi e costumi del mondo etrusco-romano, non accantonarono le tradizioni degli avi ed anzi le continuarono, semmai fondendole con i nuovi apporti provenienti dal Mediterraneo. La persistenza, nei dialetti lombardo-piemontesi, di termini tecnici derivanti dalle lingue celtiche dimostra come anche nella viticoltura gli Insubri riuscirono a fornire un'impronta decisiva al territorio destinata, nonostante tutto, a sopravvivere lungo i secoli.



Bibliografia:

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Nico Valerio, La tavola degli antichi, in cucina con i faraoni, con Pericle e Lucullo, con Nerone e Messalina, Oscar manuali, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1989.

Manzi Luigi, La viticoltura e l'enologia al tempo dei romani, Edizioni Botta, Roma 1883.
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