Archivio Storico 2011-2017

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Il vino insubre

05 Marzo 2012
vasi vinari e botti nella Gallia Cisalpina
In questo breve e sintetico excursus sul vino insubre, di cui questa è la terza 'puntata', non si possono dimenticare i recipienti, sia i grandi vasi vinari per la conservazione e per il trasporto che i piccoli contenitori per servire e i bicchieri per degustare.
Inizialmente il vino era trasportato in anfora, recipiente di grandi dimensioni presente in tutto l'ambito mediterraneo. Le anfore erano prodotte in terracotta, materiale che si è conservato ottimamente fino ai nostri giorni rendendo possibile il loro rinvenimento - durante gli scavi archeologici - in grandi quantità presso gli scali commerciali e nelle celle vinarie delle abitazioni. Questi recipienti erano tipici della cultura greca e romana, mentre i Celti preferivano utilizzare grandi vasi vinari in legno, ovvero le botti.
Di probabile origine celtica sono i termini tunna (botte), che inizialmente doveva avere il significato di otre in pelle, taratrum (succhiello), bunda, anch'esso sinonimo di botte come sembrerebbe suggerire la nomenclatura che ancor oggi è diffusa nel Canavese (bunda) e nei dialetti piemontese e lombardo (bondòn).
Le botti di legno furono inizialmente estranee alla pratica enologica greca e a quella centro-italica. I primi testi antichi che ne parlano le associano infatti esclusivamente alla Gallia Cisalpina. Anche Strabone afferma che in Gallia 'l'abbondanza del vino viene indicata dalle botti fatte di legno, che sono più grosse delle case', sottolineando che la pace di quei territori contribuisce a saldarle perfettamente. L'autore greco cita inoltre la presenza di battelli-botte che navigavano sul fiume Po e sui maggiori suoi affluenti, precisando anche che le botti erano in legno di castagno. Successivamente, però, anche i romani le adottarono traendone enorme vantaggio in quanto più capienti delle anfore e meglio trasportabili: una dimostrazione di ciò è il carro-botte raffigurato sulla stele sepolcrale del mercante di vino Veiquasius Optatus (I sec. d.C.) esposta assieme ad altre steli di vinattieri al Museo Archeologico di Torino.
Del resto, anche autori come Virgilio e Plinio rilevavano che le botti fossero particolarmente adatte a conservare il contenuto in zone dove si riscontravano frequenti variazioni di temperatura grazie alle loro proprietà isolanti. Plinio infatti scrive: 'I metodi per conservare il vino differiscono grandemente a seconda del clima. Nelle regioni alpine lo si racchiude in recipienti di legno rinforzati con cerchiature e persino nel pieno dell'inverno, lo si preserva dal gelo, accendendo dei fuochi'.
Sicuramente i Celti transpadani rivestirono un ruolo di primo piano nell'elaborazione e nella diffusione dell'arte del bottaio. Anche nei bassorilievi romani, le botti sono sempre rappresentate legate da cerchi di legno, che Plinio asserisce ricavati dalla betulla: 'La betulla è un albero della Gallia, sorprendente per il colore chiarissimo del legno e l'esilità del tronco (...) La sua flessibilità la rende inoltre adatta per fare cerchi'. E Columella esorta il vignaiolo a controllare lo stato dell'uva e a preparare almeno quindici giorni prima le botti dapprima rivestendole di pece e poi strofinandole con acqua marina (o salata) e per poi lasciarle asciugare perfettamente.
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