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Vinattieri Insubri dell'età del Ferro

22 Febbraio 2012
Coltivazione della vite e conservazione del vino nella tradizione celtica transpadana
Parlare di storia del vino è come parlare della storia dell'umanità. Non esiste una data esatta che delinei l'inizio della sua produzione di questa bevanda, tuttavia nel Valdarno Superiore, nei pressi di Montevarchi (Ar), sono stati ritrovati in strati di deposito di lignite, reperti fossili di tralci di vite (Vitis Vinifera) risalenti a 2 milioni di anni fa. Molti altri rinvenimenti archeologici dimostrano che già 300.000 anni fa la Vitis Vinifera cresceva spontanea e da recenti studi emerge che i primi degustatori di questa bevanda risalgono già al Neolitico. Così come la birra, anche il vino si ritiene scoperto casualmente in occasione della fermentazione naturale del liquido nei contenitori dove l'uva era riposta. Le più antiche tracce di coltivazione della vite sono attestate sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale e sembra accertato che la produzione su larga scala di vino sia iniziata poco dopo il 3000 a.C.

Prima di tutto, due parole sull'etimologia. Il termine 'vino' può avere molteplici origini. Tra le molte ipotesi possibili, la più convincente farebbe derivare la parola dal verbo sanscrito vena (amare), che ha originato anche il nome latino Venus, la dea Venere. Lo stesso termine sanscrito risale alla radice proto indoeuropea *win-o- (cfr. ittita: wiyana, licio: Oino, antico greco οῖνος - oînos, greco eolico ϝοίνος - woinos). Il latino vinum avrebbe poi dato vita - anche attraverso la mediazione delle lingue celtiche - alle denominazioni relative presenti nelle altre lingue.

Le prime attestazioni riguardanti la coltivazione della vite in Occidente risalgono al 1700 a.C., ma è solo con la civiltà egizia che le colture conoscono uno sviluppo tale da indurre alla produzione vera e propria del vino. Da prodotto d'élite, la bevanda diviene poi d'uso quotidiano durante l'Impero Romano: alla capillare diffusione della vite su gran parte del territorio corrisponde l'aumento esponenziale della disponibilità di uva, con relativo calo di prezzo e consumo del prodotto da parte di tutte le classi sociali, che potevano scegliere tra almeno 140 qualità differenti. Il vino romano, tuttavia, era assai diverso da quello che conosciamo oggi. Si trattava di una sostanza sciropposa, molto dolce e alcolica – caratteristica derivata dalla bollitura, il più praticato metodo di conservazione dell'epoca – che per risultare gradevole al palato necessitava di essere allungata con acqua e mescolata a miele e spezie. Plinio il Vecchio narra che in Pianura Padana utilizzando la bollitura del mosto invece della fermentazione si otteneva un prodotto con due diverse concentrazioni: quello più 'spesso' - la riduzione era pari alla metà – era chiamato defrutum, mentre quello più 'leggero' (riduzione di un terzo) era detto sapa. Una possibile 'memoria' di questa tecnica sopravvive ancora oggi in Romagna, dove si prepara un prodotto simile facendo bollire il mosto per circa 5 o 6 ore in un recipiente di terracotta. Utilizzato esclusivamente per la preparazione dei dolci (mentre in passato era consumato coi fagioli lessati), viene chiamato – guarda caso - 'la saba'.

(continua...)
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