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Agricoltura e alimentazione: breve viaggio nella decrescita serena di Serge Latouche

09 Marzo 2015

Il valore aggiunto della decrescita serena consiste nel rifondare la società, ritrovare i rapporti di collaborazione, l’attivismo, riconcettualizzare, ridurre il sovraconsumo, ridurre l’impronta ecologica, riciclare, rivalutare.

 

Il 3 marzo 2015 presso l’Università degli Studi del Sannio di Benevento il professore SergeLatouche, filosofo ed economista francese, ha tenuto un’interessante lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione della prima edizione del Master di II livello “MIART_Manager delle imprese agro – sociali e delle reti territoriali”.

SergeLatouche è noto per essere il fautore della decrescita serena che nel suo libro (Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, 2007, n.d.r.) descrive come una “scommessa” perché la “decrescita non è la crescita negativa. Sarebbe meglio parlare di acrescita, così come si parla di ateismo”.

Per Latouche la decrescita è un progetto e premessa indispensabile a qualsiasi programma d’azione politico adeguato alle esigenze ecologiche del mondo attuale.

Il progetto della decrescita è dunque un’utopia, una fonte di speranza e sogno, ma non è irreale e trova uno dei suoi settori chiave di realizzazione nell’agricoltura. Una società basata sulla decrescita non può non tenere conto del ruolo economico, ambientale e sociale del settore primario, non può non tenere conto dell’importanza di una nuova ruralità e di un’alimentazione di qualità. 

Il valore aggiunto della decrescita serena consiste nel rifondare la società, ritrovare i rapporti di collaborazione, l’attivismo, riconcettualizzare, ridurre il sovraconsumo, ridurre l’impronta ecologica, riciclare, rivalutare.

E allora sono “sani, buoni e giusti – come ha affermato Latouche – quei progetti e quelle iniziative locali come i presidi Slow Food, i GAS (Gruppo d’Acquisto solidale), gli acquisti a km0, che sono espressione di un’economia non produttivista ma produttiva”. Ed è l’utopia della decrescita che dà un senso a queste pratiche.

Il totalitarismo produttivista che ha governato il modo industriale e capitalista di fare agricoltura, un sistema che ha fatto produrre troppi alimenti, troppe eccedenze usando prodotti chimici, fertilizzanti, pesticidi e sfruttando la tecnologia in modo improprio (basti pensare agli organismi geneticamente modificati) per ottenere sempre più prodotti e sempre più fuori stagione.

Il risultato è un’alterazione totale dei modelli di produzione agricola e di consumo alimentare: oggi mangiamo le zucchine d’inverno e non ci rendiamo conto di che impatto in termini d’inquinamento può avere un’alimentazione eccessivamente sbilanciata a favore della carne. Sono andate perse molte varietà locali di frutta e verdura, sacrificate in nome di poche varietà che rispondessero esclusivamente a requisiti commerciali con conseguente perdita di biodiversità e trasformazione del paesaggio rurale.

La società della decrescita mira a recuperare i modelli agricoli tradizionali perché il settore agricolo continua ad avere un ruolo primario e strategico per l’umanità. L’agricoltura contadina che non usa pesticidi e concimi chimici, che protegge e valorizza la biodiversità è un’agricoltura che può garantire autosufficienza alimentare ai popoli attraverso prodotti di stagione e di qualità. È un’agricoltura che non provoca inquinamento, che non produce dispendio di energia, che non contribuisce all’effetto serra. È un’agricoltura che dà lavoro locale e che, in sostanza, sintetizza tutti gli imperativi pratici del sogno della decrescita.

 

p.s. E non poteva mancare la foto di rito con Latouche…una lezione molto positiva e ricca di stimoli!

 

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