Un sacco di volte, seduti sulle panche di legno dell'enoteca 'Al Ponte', Italo mi ha detto: 'Dovresti scrivere un libro sulla mia vita'. Non ce l'ho fatta. E penso che questo sarà uno dei pochi rimpianti della mia vita. Umile, come solo i grandi uomini sanno essere, mi parlava di Veronesi, di Gualtiero, di nomi che per me sono mostri sacri, mentre per lui erano solamente 'amici'. Mi osservava, con un'aria un po' sorniona, mentre sorseggiavo i vini che mi faceva assaggiare in compagnia di Luca e Nives, e aspettava che dicessi qualcosa, poi sorrideva e, regolarmente, diceva: 'Sapevo che avresti capito'.
Per quelli della mia generazione stare con una persona come Italo era un'occasione per imparare sempre qualcosa, per sognare i tempi in cui 'loro' andavano nelle grandi maison francesi a testare i vini che noi spesso conosciamo solo sui libri.
Una volta gli chiesi quanti vini avesse bevuto nella sua vita. Lui, di rimando, mi chiese quante parole avessi scritto nella mia.
Italo era malato, lo sapevamo tutti, ma nessuno aveva il coraggio di pensare che un giorno saremmo entrati in enoteca e non lo avremmo più trovato, con l'immancabile giacca blu, seduto vicino alla stufa.
È strano il meccanismo mentale per cui ci si affeziona a persone che pure non si conoscono così bene. Forse ho proiettato su di lui la figura di mio padre, bonaria, un filo austera, autoironica. Non sapevo quasi nulla di lui, eppure per me AIS Bergamo voleva dire trovare Italo, seduto di fianco alla Nives, a seguire le lezioni, a bisbigliare qualche commento, a commentare una ricetta. Una per tutte: un giorno gli chiesi quale vino si potesse abbinare al coniglio, e lui mi rispose 'Io col coniglio bevo solo marzemino'. E da quel giorno, a casa mia, col coniglio si beve marzemino.
Da oggi, niente sarà più la stessa cosa, perchè Italo non c'è più a discutere di lambrusco, di pignoletto, di sangiovese di Romagna, dei 'miei' vini. Quei vini che avrei voluto fargli assaggiare a casa mia, sotto il bersò, in una sera d'estate che non verrà mai più...