Noi che facciamo questo lavoro (leggi: giornalisti di food) ci ritroviamo spesso a mangiare “per lavoro” (ah-ah avete ragione, è un lavoro duro ma qualcuno lo deve pur fare, lo dico sempre anch’io e spesso lo dico in direzione della mia bilancia).

Quando capita ci possiamo ritrovare qualsiasi cosa nel piatto, qualsiasi. Davvero… Perchè tu sei lì, in un nuovo locale, a provare il suo menu e non è detto che perchè questo locale ha i soldi per una cena stampa, per un ufficio stampa, per una comunicazione più o meno efficace beh, non è detto che abbia anche il cervello per scegliere una valida brigata in cucina, un menu ben pensato e dei piatti vincenti costruiti con materie prime di qualità.

Ecco perchè vi dico che possiamo ritrovarci di tutto, nei piatti, anche se è una serata costruita ad hoc per conquistare la stampa e il suo cuore.

Visto ciò, quando non andiamo a mangiare per lavoro ci piace andare a colpo sicuro, ci piace girare per locali conosciuti e apprezzati o provare localini nuovi, ma che hanno conquistato la stima degli addetti ai lavori insomma… le sorprese ci piacciono nelle uova di pasqua ma non nel piatto!

Proprio per questo motivo mi è capitato spesso di chiedere informazioni a colleghi o foodblogger per capire come fosse quel locale nuovo di cui mi ero persa l’opening, o quell’altro di cui avevo letto in rete; sono domande che si rivolgono in privato, via chat, perché un consiglio spassionato è come una seduta dall’analista, bisogna essere a proprio agio e avere la giusta dose di privacy per cercare di sviscerare tutta la verità.

Ora, per mia personale esperienza, posso dirvi che se chiedo ai miei contatti “com’è [nome di locale] lo conosci, ci sei stata/o?” e la risposta più coerente è qualcosa che si avvicina molto a “Eh, ma hai visto che tempo oggi?” allora, molto probabilmente, è il caso di evitarlo, quel sopracitato locale. Spesso non faccio nemmeno ulteriori domande, semplicemente mi fido.

Altre volte pecco di presunzione e mi imbarco in cene senza chiedere informazioni, perché finisco per dare per scontato la validità di alcuni locali.

Mi è capitato anche tempo fa. Si trattava di una pizzeria romana, una pizzeria conosciuta. Una pizzeria che doveva essere a colpo sicuro, senza sorprese, #buonaperforza. E invece. Invece sta pizza proprio non m’è piaciuta. Tornata a casa, dopo aver postato un paio di foto del locale, mi sono ritrovata vari messaggi (vogliamo dire numerosi? diciamo numerosi messaggi) di altre persone che, essendoci stati, mi chiedevano cosa ne pensassi.

La mia risposta è stata ovvia e scontata, la delusione era ancora ben presente nel mio stomaco, se potessi definirla usando una frase nota direi: “tutto fumo e manco di quello buono”.

E lì ho scoperto che anche loro la pensavano come me. Ma nessuno ne aveva mai parlato, ne aveva mai scritto. E’ stato in quel momento che ho scoperto un fenomeno che mi era fino a quel momento sfuggito: la Solidale Critica Sommessa.

L’S.C.S. (e scusatemi se mi sono permessa di coniarne pure l’acronimo) è quel meccanismo mediante il quale un locale che nasce con tutte le carte in regola: cucina, proprietà, location, fama, storia, comunicazione, marketing, materie prime, menu, varie ed eventuali ma comunque toppa. E toppa alla grandissima.

Ma nessuno lo boccia, nessuno.

Non lo bocciano perché se mangi quella pizza e non ti convince non è colpa della pizza, ma tua che non ne capisci nulla di impasti, lievitazioni e cotture. Ovvio, no?

Eppure i pareri negativi si moltiplicano, corrono via web per canali alternativi, oscuri, paralleli, una specie di mondo alternativo al Matrix che trovi sui giornali, fatto è che sono tutti, esclusivamente e rigorosamente in modalità S.C.S.

La verità è che la vita è dura, e l’intoccabilità di certe situazioni, di certi luoghi, di certi mausolei del gusto è difficile da scalfire, da scalare e da abbattere.

Ed ecco che continuo ad assistere a un peregrinaggio spicciolo verso quel luogo, con foto in rete, commenti più o meno convinti e convincenti, sguardi perplessi che nascondono l’incertezza del giudizio, salvo poi avvicinare il singolo, poggiare una mano sulla spalla e sussurrare al suo palato: “so cos’hai provato, siamo in tanti, non ti dovrai più sentire solo” navigando a vista su piccole zattere di gusto spinte dal vento della Solidale Critica sommessa.

Photo by tim mossholder, priscilla du preez, annie spratt on unsplash

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Vicedirettore di questa rivista nonché blogger, giornalista, laureata in comunicazione, parlo di food ma non solo; recensisco locali ed eventi, racconto di persone e situazioni su siti e riviste. Qui su Cavolo Verde – sperando di non essere presa troppo sul serio – chiacchiero, polemizzo, ironizzo, punzecchio e faccio anche la morale.
In sintesi? Scrivo – seriamente – e mi piace. Tanto.