Seduta al tavolo imbandito per il pranzo domenicale c’è la mia prozia. Novantaquattro anni, tempra d’acciaio e spirito critico, troppo critico, da sempre, infilza con la forchetta un carciofo, e brontola “Io il pollo non lo mangio”.

Abituata al suo rimproverare tutto e tutti, accenno un sorriso e continuo a mangiare. “Quando vivevo a Marostica mi hanno abituata troppo bene”.

Sessant’anni fa la mia prozia ha vissuto in Veneto, appena sposata, per seguire il marito che era il medico del paese. Lei, milanese, si consolava dal blues della campagna cucinando i polli che i pazienti portavano in dono al dottore.

Pare che queste bestie fossero ben altro da quelle che portiamo in tavola oggi. Intanto ci pensava lei, gli tirava il collo e fresche di giornata finivano in forno. E pare anche che “non si restringessero, come fa la carne che si compra al supermercato” piena di antibiotici e chissà quale altra diavoleria.

Ieri e oggi… La differenza c’è e sappiamo tutti che non sempre le cose si evolvono nella direzione migliore.

Vuoi per il consumismo, vuoi per comodità e per mancanza di savoir-faire (chi di noi sa spennare ed eviscerare una gallina?), vuoi per la crisi, le botteghe si svuotano, mentre i discount fanno le code alle casse, con clienti disposti a tutto pur di portarsi a casa 10 cosce di pollo ad 1 euro e 49 centesimi. Persino di rinnegare la vera qualità.

Ma abbiamo davvero bisogno di metterci tutto quel cibo nel piatto? Dobbiamo sentirci per forza i maghi degli affari e mangiare troppo, per consumare tutto quello che abbiamo comprato?

Siamo i figli delle offerte e degli all-you-can-eat. Abbiamo perso la misura e siamo tutti alle prese con la bilancia che segna cifre sconvolgenti e non sane. Però davanti agli sconti non ci teniamo. Se non compriamo quello che costa meno e in maggior quantità ci sentiamo in colpa.

La mia prozia compra al mercato. Dal salumiere e dal macellaio. Poco ma buono. Non può più avere il pollo fresco di giornata, ma una cosa la sa bene: meglio un pomodoro biologico crudo con un filo d’olio ligure della migliore qualità, che una vagonata di qualsiasi altro cibo preso al supermercato. Non per snobismo, ma per saggezza, nostalgia e buonsenso.

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