Oggi voglio parlarvi del campo dove ho svolto la mia ricerca di dottorato: le Cinque Terre. Sono cinque piccoli borghi nella riviera ligure di Levante, in provincia della Spezia: Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore.

Vi sono tracce di insediamenti paleo-liguri nell’entroterra, dato che l’area prima della conquista romana era abitata dalla tribù ligure degli Apuani, all’epoca famosi per la strenua resistenza al potere romano.

I borghi “a mare” tuttavia risalgono a dopo l’anno Mille: contesi fra le repubbliche marinare di Pisa e Genova, dal Tredicesimo secolo passano definitivamente nell’area di influenza di quest’ultima, di cui seguiranno le sorti fino all’Unità d’Italia. Il rapporto con la Superba fu piuttosto conflittuale e vide gli abitanti delle Cinque Terre praticare il contrabbando e darsi alla pirateria come forme di resistenza contro lo spietato dominio genovese, con la fierezza ereditata dagli indomiti antenati Apuani.

Il territorio delle Cinque Terre è aspro, caratterizzato da alture a picco sul mare, ma il suo paesaggio, plasmato per secoli dall’attività agricola, è segnato dai terrazzamenti ottenuti con i muretti a secco. Questo paesaggio così caratteristico è stato insignito nel 1997 dall’UNESCO del titolo di Patrimonio Mondiale dell’Umanità, dato che testimonia un modo di vita sostenibile basato una forma eminente di interazione umana con l’ambiente.

Il poeta di origine monterossina Eugenio Montale ha ritratto Monterosso nei propri versi, mentre il pittore Telemaco Signorini lo ha fatto con Riomaggiore nelle sue tele: le Cinque Terre sono per così dire sospese fra terra e mare, fra turismo e tradizione, fra poetico e pittoresco.

Ma cosa c’è su questi terrazzamenti? Oltre ai numerosi orti, le due principali coltivazioni sono l’olivo e la vite, da cui si ottengono il vino bianco Cinque Terre DOC e il vino passito Sciacchetrà. Altri prodotti locali degni di nota sono i limoni di Monterosso e le fave di Corniglia. Fra le piante coltivate non può ovviamente mancare il basilico ligure.

La quasi assenza di spiagge adatte all’attracco ha reso invece la pesca un’attività molto marginale alle Cinque Terre, con la sola eccezione di Monterosso, dove la pesca rivaleggiava con l’agricoltura. Un tempo la pesca era così abbondante che le donne di Monterosso andavano a vendere il pesce pescato dai mariti non solo negli altri borghi delle Cinque Terre, ma persino nell’entroterra e in tutta la riviera di Levante fino a Sestri Levante.

Con l’entroterra, poi si effettuava un importante scambio di prodotti: pesce, olio, vino e sale in cambio di farina, castagne, burro e formaggio. Ma il prodotto principe della pesca monterossina sono le famose acciughe salate di Monterosso.

Di tutti questi prodotti vi parlerò nelle prossime puntate.

  • Articoli
Francesco Bravin è un milanese imbruttito di origini friulane, dottore di ricerca in antropologia presso l’università di Genova, ha condotto una ricerca etnografica alle Cinque Terre sul ruolo dei prodotti tipici locali nell’immaginario turistico, dove si è dovuto sacrificare partecipando a tutte le sagre e le degustazioni di vino. Ha organizzato laboratori didattici in diverse scuole superiori a Milano, Brescia e Savona e al momento collabora come tutor didattico per le Scienze Sociali con l’università eCampus e con l’istituto Grandi Scuole. È presidente e fondatore dell’associazione Antropolis, che a Milano cerca di portare l’antropologia fuori dalla torre d’avorio accademica, nonché socio fondatore di ANPIA e, all’interno di questa, membro della commissione Scuola ed Educazione e del Consiglio dei Saggi. Nel tempo libero fa l’accompagnatore turistico, il biker e lo schermidore storico.